28 maggio 1980. Quarant’anni fa veniva assassinato Walter Tobagi


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28 maggio 1980. Quarant’anni fa veniva assassinato Walter Tobagi

Sono passati quarant’anni. Lunghi, lunghissimi. È un mercoledì il 28 maggio del 1980. Milano. Sono da poco passate le 11 del mattino quando Walter Tobagi, giornalista del Corriere della sera, esce dalla sua abitazione dirigendosi verso via Andrea Salaino, è lì in un garage che è parcheggiata la sua auto.
Ad attenderlo in quella stretta via del capoluogo lombardo, vicino ad una edicola, un commando della "Brigata XXIII marzo" composto da Marco Barbone, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano, «rampolli» della buona borghesia milanese, alcuni legati per vie familiari all’ambiente giornalistico.
D’improvviso alcuni colpi di pistola riempiono l’aria. A sparare furono Marano e Barbone, il rumore assordante della morte avvolse ogni cosa, la strada, i palazzi, i passanti.
Lì sul selciato bagnato di quella ancor fredda mattina di primavera inoltrata il corpo inerme, senza vita, di quel giovane giornalista appena trentatreenne. Dopo poco solo un pietoso lenzuolo bianco copriva quella nefandezza.
“Aspettammo circa 35-40 minuti – confessò alcuni mesi dopo, il 4 ottobre del 1980, Marco Barbone, allora ventiduenne, al pubblico ministero Armando Spataro che lo interrogava – che Tobagi uscisse dal portone… Mario cominciò a sparare, mirando possibilmente al cuore, come poi mi disse. Tobagi fece due passi e cadde, mentre Mario, che aveva esploso tre colpi, tentò di sparare ancora, ma la sua 7,65 si inceppò. Io allora sparai due colpi con la mia 9 corto… correndo, gli passavo vicino mentre era già a terra, e quando ormai avevo la netta sensazione che lui fosse già morto”.
Così moriva uno spirito libero come Walter Tobagi, un pensatore al di là degli schemi, un giornalista sopra ogni ideologia, così raro sempre ma soprattutto in un’epoca intrisa fortemente di ideologismo, di estremismi ciechi come era allora. Un moderato.
Umbro, nativo di Spoleto, il suo assassinio colpì profondamente l’opinione pubblica italiana. Giorgio Benvenuto allora segretario generale della Uil ricorda così quel terribile giorno: «Ero a Madrid quando mi raggiunse la notizia della sua morte. Fu un dolore terribile. Tobagi era cattolico, legato a Pierre Carniti ma aveva simpatia per la Uil che aveva conosciuto all’interno del Corriere della Sera. Qualche mese dopo la sua morte, uscì un suo libro sul sindacato. E proprio a conclusione di quelle 189 pagine formulava una tesi che riletta oggi ha un sapore quasi profetico, comunque non ha perso nulla della sua attualità. Scriveva: “Gli anni Ottanta si aprono come una stagione difficile. Il sindacato è ancora una volta in campo aperto, non può vivere sul passato. Non può vivere sul potere della rendita conquistata durante l’Autunno Caldo. Non può vivere con le vecchie ideologie, superate sia dal modo di produzione sia dal costume di tanta gente della nuova classe operaia. La prospettiva più grama sarebbe quella di passare dal sindacato dell’Autunno a un bigio autunno del sindacato”. E Tobagi quel libro lo aveva scritto avendo conosciuto solo la vicenda dei sessantuno licenziati alla Fiat. Il commando di assassini non gli consentì di seguire professionalmente la vertenza di Torino e poi tutte le altre vicende che si sarebbero sviluppate sulla scala mobile, il referendum, l’uscita di scena prima del suo amico Carniti e poi di Lama».
Ricorda ancora Benvenuto: «Tobagi guardava con grande benevolenza all’esperienza della Uil, affascinato dalla visione laica che portavamo all’interno del sindacato. Significativa è la conclusione del capitolo in cui parla della mia elezione alla Segreteria generale: “Il problema di Benvenuto non è il passato, non è la coerenza ideologica: è la necessità di dare più forza alla sua organizzazione, se non vuole rischiare di trovarsi in minoranza anche quando sostiene idee giuste. Che è il destino della cultura laica in questo paese di controriforme e verità di massa”». Questa “elasticità” di movimento da un punto di vista politico, talvolta irritava Pierre Carniti che, nei
momenti di maggiore polemica con Benvenuto, diceva: «La Uil non è un sindacato, è uno stato d’animo». Ma le battute fanno parte della dialettica, mentre le analisi servono a fornire una idea organica delle ragioni che sono alla base di certe scelte.
Certo a quarant’anni dal suo assassinio è doveroso ricordarlo ma non come un eroe civile caduto vittima del terrorismo ma anche e soprattutto come un combattente della normalità; il suo modo di capire, vedere e raccontare la realtà ne sono un esempio per tutti noi.


Sono passati quarant’anni. Lunghi, lunghissimi. È un mercoledì il 28 maggio del 1980. Milano. Sono da poco passate le 11 del mattino quando Walter Tobagi, giornalista del Corriere della sera, esce dalla sua abitazione dirigendosi verso via Andrea Salaino, è lì in un garage che è parcheggiata la sua auto. Ad attenderlo in quella stretta via del capoluogo lombardo, vicino ad una edicola, un commando della

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