ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL PRIMO MAGGIO


L'italia di ieri, di oggi e di domani.

FONDAZIONE BRUNO BUOZZI

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL PRIMO MAGGIO

di Giorgio Benvenuto

primo maggio Il primo maggio del 2023 ha delle caratteristiche politiche e simboliche particolari. Innovative. Simili a quelle che hanno caratterizzato la ricorrenza del 25 aprile 1945.
In primo luogo l’anniversario della Liberazione ha riconfermato il legame indissolubile con la Costituzione. L’Unità d’Italia nel 1861 aveva generalizzato lo Statuto Albertino. Era una concessione. La Costituzione varata il 1° gennaio del 1948 è stata una conquista. È il risultato della Resistenza, nella quale i lavoratori hanno svolto un ruolo da protagonisti hanno organizzato lo sciopero del 5 marzo 1943 a Torino; poi hanno cacciato i nazisti da Napoli nel settembre del 1943; hanno partecipato agli scontri a Porta san Paolo con i nazifascisti dopo la vile fuga del Re Vittorio Emanuele.
La lotta dei lavoratori è stata fondamentale, ha riscattato la dignità del nostro Paese ed ha salvaguardato molte fabbriche dalla distruzione organizzata nella loro ritrata dai nazifascisti.
Bruno Buozzi con Giuseppe Di Vittorio e Achille Grandi ha lavorato per realizzare l’unità sindacale. È stato cambiata la denominazione della vecchia CGDL (Confederazione Generale del Lavoro) in CGIL (Confederazione Generale Italiana del lavoro).
La Repubblica italiana e la Costituzione sono state ottenute con la lotta, con i sacrifici, con la determinazione del mondo del lavoro. La Costituzione Italiana è molto chiara. È sociale. L’art.3 della Costituzione non si limita ad elencare i diritti dei cittadini italiani. Il secondo comma è molto preciso:
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Alla fine del 2022 è stata introdotta una ulteriore modifica rafforzativa della Costituzione. In particolare l’art.9 prevede che “La repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.
Anche l’art.41 della Costituzione è stato modificato: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Le organizzazioni sindacali sono un soggetto indispensabile per rendere operativi, concreti, tangibili i diritti dei cittadini. Ecco perché è fondamentale che i sindacati siano sentiti dal Governo e dal Parlamento prima delle riforme che sono necessarie dopo la svolta dell’Unione Europea.
In altri momenti della storia della nostra repubblica i sindacati sono stati coinvolti.
Il sindacato italiano ha una lunga tradizione riformista. Non è un agitatore. È stato un protagonista nel rafforzamento della democrazia, nella attuazione delle riforme sociali, nello sviluppo dell’economia, nella scelta europea.
Il confronto, la partecipazione, il coinvolgimento dei lavoratori preventivo è fondamentale per la politica, per realizzare le riforme evitando le guerre per errore.
Il sindacato italiano ha un tasso di sindacalizzazione del 31,6%, inferiore solo a quello dei Paesi scandinavi. Il sindacato è nello scenario politico o sociale italiano una organizzazione collettiva molto presente nel mondo del lavoro (le elezioni della RSU vedono la partecipazione al voto dell’80-90%. Ha grandi potenzialità, molte delle quali inespresse.
È un interlocutore decisivo per fare le riforme.
Non dobbiamo dimenticare i cambiamenti in atto in Italia ed in Europa. È in atto un processo di terziarizzazione, con la scomparsa dell’operaio-massa, con la frammentazione delle figure professionali e quindi degli interessi, con la nuova flessibilità del lavoro attuata in modo esagerato, con l’estendersi dell’area del lavoro autonomo. La rapidità con cui questi processi vanno avanti è superiore alle previsioni e quindi è doppiamente preoccupante.
A ciò si aggiunge il cambiamento nel comportamento dei lavoratori.
C’è una emersione potente, anzi prepotente della soggettività. Prevale sempre di più una difficoltà delle persone ad aderire e a riconoscersi nei soggetti collettivi spesso vissuti come abiti troppo larghi o troppo stretti per essere indossati comodamente.
Un altro cambiamento è dato dallo spostamento degli orizzonti del potere economico: un potere che si sposta dalla sfera industriale a quella finanziaria, da quella nazionale a quella internazionale. Il mondo del capitale non ha più confini, e il sindacato, i partiti non hanno strumenti non dico per contrastarlo, ma neppure per controllarlo.
A questi fattori planetari si aggiungono fattori propri della situazione italiana. Il primo è la frammentazione sociale, la ricerca da parte di tutti di valorizzare le proprie specificità, che ha portato alla caduta di alcuni valori, quelli della solidarietà. Il motto adesso è “ognuno per sé”, Dio per tutti.
Un altro fattore di difficoltà è dato dalla crisi della sinistra.
Non voglio riaprire un fronte supplementare di polemiche, ma con la sincerità dell’analisi impietosa che siamo costretti ad applicare a noi stessi e agli altri dobbiamo dire che l’incertezza, la perdita di bussola della sinistra si ripercuote nel sindacato, spingendolo ad essere altalenante, oscillante, diviso, cadendo di volta in volta nella trappola del “più uno” nella rincorsa ai movimenti.
Si corre il rischio di non saper scegliere o di dividersi tra la professionalità e l’egualitarismo, tra il movimentismo e il compatibilismo, tra il sindacato di lotta e quello di governo.
Il cambiamento dell’economia ha incrementato una spietata concorrenza sui mercati secondo la legge “just in time” (primo vendere, poi produrre) e “della massima flessibilità”.
Prevale, ormai, in Italia ancor più che in Europa una fortissima polarizzazione nell’economia e nel lavoro: da un lato le imprese “globaliste” che garantiscono ai lavoratori buoni stipendi e un’organizzazione del lavoro capace di riconoscere e valorizzare i talenti e la voglia di autonomia.
Dall’altro lato esistono, resistono e si estendono aziende che il politologo Paolo Feltrin definisce efficacemente settori cayenna, (logistica e gig economy) nei quali non esistono diritti, le condizioni di lavoro rievocano lo schiavismo, il lavoro è “on demand”: (domanda e offerta vengono gestite online attraverso piattaforme e app dedicate).
Ecco perché il ruolo del sindacato diventa decisivo. Occorre contrastare i tentativi in atto da tempo che cercano di rendere il sindacato ininfluente, spettatore delle disuguaglianze, impossibilitato ad intervenire.
Non è così. Non deve essere così. Il sindacato deve esigere la partecipazione e il coinvolgimento nelle aziende non lasciando al solo management i processi di riorganizzazione accrescendo sensibilmente le proprie competenze tecnico-operative di confronto sui contesti nei quali ci si trova ad operare e di counseling.
Filippo Turati nel 1920 propose una legge organica per “rifare l’Italia” nella quale anticipava la richiesta di uno statuto per i lavoratori e di una democrazia nell’azienda per fare in modo che gli stessi tramite il sindacato fossero considerati come dei condomini.
Bruno Buozzi aggiungeva sempre in quegli anni nel confronto con i datori di lavoro: “occorre resistere un minuto più del padrone conoscendo però almeno un libro più di lui”.
È necessario al sindacato oggi e domani più dialogo, più partecipazione, più competenza, più passione.
Ma non basta il sindacato, deve essere anche combattivo per tutelare i lavoratori e eliminare i settori “cayenna” con una lotta inesorabile ai pseudoappalti, alle paghe da fame, allo sfruttamento.
Il sindacato deve imporre il confronto e la partecipazione al processo in atto del cambiamento tecnologico. Si deve scongiurare anzi impedire il rischio di una polarizzazione del mercato del lavoro.
La divisione del mondo del lavoro se non si interviene non sarà solo tra sigle sindacali ma rischia di essere tra lavoratori professionali (capaci di stare nel mondo dell’Internet delle cose, dei big data e dei robot) e lavoratori inermi che possono rendere disponibile solamente la loro fatica fisica svolgendo mansioni semplificate e realmente usuranti.
È l’auspicio che Bruno Trentin in una dei suoi ultimi saggi, “La libertà prima di tutto” rivendica
per il futuro. Cambia il mondo, deve cambiare anche l’azione del sindacato.
I contratti non vanno fatti e vissuti solo come matrice economica (quanti soldi in busta paga); vanno, invece, arricchiti accrescendo il ruolo di adeguamento delle professionalità al cambiamento tecnologico e alla nuova organizzazione del lavoro.
Il primo maggio insomma quest’anno deve rappresentare una svolta. La libertà, la solidarietà, l’eguaglianza, l’innovazione tecnologica, la partecipazione, sono a portata di mano. Il sindacato ha una grande occasione per essere uno dei protagonisti del cambiamento. Ha una presenza diffusa nel territorio. Ha una grande capacità rappresentativa. È bene esibirla a chi vuole ridimensionarlo, dividerlo, isolarlo. È insomma necessario, fondamentale, decisivo far seguire alla politica delle emergenze la stagione delle riforme. È fondamentale passare dall’antagonismo ideologico alla partecipazione per realizzare le riforme.

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