Al Senato, la Fondazione Buozzi presenta il libro su Viglianesi, uno dei protagonisti del sindacalismo del dopoguerra.


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Al Senato, la Fondazione Buozzi presenta il libro su Viglianesi, uno dei protagonisti del sindacalismo del dopoguerra.

"Italo Viglianesi. Il sindacalista, il politico, il socialista. Ricordi e indediti"
Presentazione a cura della Fondazione Bruno Buozzi


L’intervento del Presidente del Senato, Franco Marini

Nel rivolgere un cordiale saluto alle Autorità e a tutti i presenti - e in particolare a tutti i dirigenti della UIL - voglio subito sottolineare che ho accettato con grande piacere la proposta di ospitare, in questa sede, questo incontro per ricordare la figura e l’opera di Italo Viglianesi. Credo che questo sia, infatti, non solo un atto dovuto allo stesso Viglianesi - che del Senato fu anche Vice Presidente - ma corrisponda anche alla necessità di approfondire la riflessione sugli anni del dopoguerra e sugli stessi protagonisti di quel periodo.

Il senatore Benvenuto, nel rivolgermi l’invito a partecipare a questo incontro, mi ha chiesto anche di portarvi un mio contributo personale. Non spetta certo a me il compito di ricostruire l’ampia e profonda attività di Viglianesi, come dirigente sindacale e politico. Il programma dei lavori prevede, infatti, interventi significativi di storici e di testimoni autorevoli. Tuttavia, dal momento che quando mi chiedono cosa ho fatto principalmente nella vita rispondo sempre che "ho fatto il sindacalista", non posso neanche sottrarmi a qualche riflessione personale, che non sia meramente di circostanza.

Italo Viglianesi - che ho conosciuto personalmente, ma con il quale non ho avuto occasioni di collaborazione diretta anche per le differenze generazionali - incarna la figura di un grande sindacalista. Un dirigente sindacale il cui contributo, forse, appare sempre più chiaro e limpido oggi, ad anni di distanza dal duro clima di scontro ideologico nel quale egli si trovò ad operare.

Leggendo il materiale che la Fondazione Bruno Buozzi mi ha inviato, e alcuni documenti conservati nell’Archivio storico del Senato, si è rafforzata in me questa convinzione. Alla fine della guerra, nel 1944, Viglianesi - che lavorava alla Montecatini - era già dirigente sindacale del settore dei chimici, e si riconosceva nella Confederazione generale del lavoro, la formazione sindacale unitaria. Era uno di quei socialisti autonomisti che, nel 1947, scelse di rimanere con Nenni e di non seguire Saragat nella scissione di Palazzo Barberini.

Tutta la sua cifra autonomista trovò, però, concretezza e identità più precisa a seguito di un viaggio nell’Unione Sovietica che Viglianesi compì, con altri dirigenti sindacali, alla fine dell’estate del 1947. Lo stesso Viglianesi ebbe a dire che la sua scelta autonomista non aveva tanto un carattere intellettuale, ma si era rafforzata e concretizzata attraverso una presa di coscienza «empirica, fondata sui fatti, senza il velo iniziale di un retroterra ideologico».

Al ritorno dall’Unione Sovietica così si esprimeva Viglianesi: «Una realtà sconvolgente, anche per quello che riguarda le condizioni di lavoro.... Fu una esperienza che lasciò il segno. Ma il fatto più sconvolgente furono le reazioni dei compagni al nostro rientro in Italia. Reazioni di incredulità, sia nel Partito che nel Sindacato».

Nel toccare con mano l’incommensurabile distanza che vi era tra gli ideali di giustizia sociale del socialismo, e la loro concreta applicazione nell’esperienza del modello comunista sovietico, si rafforzò in Viglianesi il forte progetto di dare vita ad una forza rappresentativa dei lavoratori che considerasse «l’azione sindacale come guida dei lavoratori finalizzata al raggiungimento di obiettivi precisi e pragmatici».

Questo progetto si concretizzò, nel marzo del 1950, con la nascita della Unione italiana del lavoro (la Uil), dove Viglianesi raccolse, insieme alla componente dei socialisti autonomisti, anche i sindacalisti saragattiani e quelli repubblicani.

Alcuni anni dopo lo stesso Viglianesi, rievocando i principi fondativi della Uil, ebbe a dire: «Certo a leggere oggi lo statuto e gli atti del 1950, noi tutti della Uil non possiamo trattenere un moto di orgoglio. Non tanto perché abbiamo percorso scelte allora rimproverate, ma poi dolorosamente e faticosamente conquistate da altri, ma perché il 5 marzo riuscimmo a porre le basi affinché il sindacalismo italiano voltasse pagina rispetto agli schemi leninisti e al contrapposto integralismo dei cattolici».

Nel rileggere queste parole - avendo io avuto qualche esperienza e conoscenza diretta della vicenda sindacale italiana - devo dirvi che, in un certo senso, mi sento di condividere l’orgoglio di Viglianesi, perché tutto il mio impegno sindacale nella Cisl è stato caratterizzato dall’idea di rafforzare una azione sindacale non chiusa in schemi ideologici e sempre attenta ai risultati concreti che potevano essere raggiunti per i lavoratori.

Celebriamo quest’anno i 50 anni dalla firma dei Trattati di Roma che istituirono la Comunità economica europea, avviando quel fondamentale processo di unione e di integrazione che rappresenta la vera scelta strategica forte per il nostro Paese e per tutto il continente. Ricordo questo evento perché Viglianesi e la Uil sostennero con convinzione quella scelta, già intravedendo, nelle dimensione europea, le maggiori e più strutturali possibilità di crescita sociale ed economica.

Nel 1963 Viglianesi divenne per la prima volta Senatore e il suo contributo parlamentare fu di qualità. Erano gli anni della programmazione economica e Viglianesi, intervenendo nel dibattito sul bilancio ebbe a dire: «Il problema centrale è nell’intima connessione tra congiuntura e struttura, tra politica anticongiunturale e politica di lungo periodo. La mediazione tra queste istanze, la conciliazione di questi problemi, le convergenze tra queste politiche, non possono conseguirsi che al livello della politica di programmazione».

Pure nel linguaggio dell’epoca possiamo individuare facilmente l’attualità di questa posizione che si proponeva di conciliare, di contemperare, gli interventi di correzione a breve con le riforme struttuali a medio-lungo periodo. Era, questa, una posizione chiaramente riformista.

Fra il 1968 e il 1970 fu eletto Vice Presidente del Senato e, proprio in quegli anni, nei quali si svolse la stagione dell’autunno caldo, maturò la scelta di lasciare ad altri la guida della Uil e di dedicarsi interamente all’attività parlamentare al Senato. Fu Ministro dei Trasporti e dell’Aviazione civile fra il 1970 e il 1972, segnalandosi per una lucida competenza politica e per una capacità di realizzazione concreta. Fino al 1979 fu attivo come Senatore portando innumerevoli contributi.

Credo che sia giunto il momento perché il Senato, tra le sue pubblicazioni storiche e politiche, dedichi al Senatore Italo Viglianesi un volume per presentare e raccogliere tutti i suoi principali interventi.

Ho voluto così ricordare solo alcuni aspetti di una personalità che a lungo ha dato lustro al Senato della Repubblica, e che ha dato un contributo davvero importante alla modernizzazione del Sindacato in Italia.

Rievocare così, a 12 anni dalla sua scomparsa, un dirigente politico e sindacale saldamente ancorato ad una visione riformista della politica, mi sembra non solo un giusto omaggio a questa figura ma anche un utile apporto all’evoluzione della politica italiana che deve ricostruire, oggi, più solide basi per una prolungata azione riformatrice nel Paese.

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