Di seguito l’intervento di Sandro Roazzi alla presentazione del suo libro ’Forse un’utopia, non non fu un’illusione... Gli anni ’60 e ’70 tra i metalmeccanici della Uilm e Flm’. 28 luglio 2020.


L'italia di ieri, di oggi e di domani.

FONDAZIONE BRUNO BUOZZI

Di seguito l’intervento di Sandro Roazzi alla presentazione del suo libro ’Forse un’utopia, non non fu un’illusione... Gli anni ’60 e ’70 tra i metalmeccanici della Uilm e Flm’. 28 luglio 2020.

Le mie non saranno delle conclusioni ma innanzitutto dei ringraziamenti, perché la stesura di questo libro è il frutto di un lavoro di gruppo e sono grato a chi lo ha assecondato offrendo con i propri ricordi la possibilità di ricostruire un percorso di vita e lavoro sindacale, quello degli anni Sessanta che arriva fino alla costituzione dell’FLM, ovvero al raggiungimento dell’obiettivo unitario dei metalmeccanici. È già stato detto che non si tratta di una storia sindacale ma è un insieme di storie personali, esperienze di gruppo che ci permettono di fare anche qualche riflessione sul valore di quell’impegno. Un ringraziamento sentito va anche a Piero Craveri che con la sua prefazione ha disegnato con acutezza lo scenario generale di quel decennio nel quale si è inserito questo percorso di ricordi ed esperienze umane e sindacali. Ed un ringraziamento a Rocco Palombella che ha concluso questo viaggio nei ricordi proponendo la sua esperienza che lo ha condotto ad essere il Segretario generale della Uilm, in grande sintonia con lo spirito del libro. Nella sua postfazione ha ricordato inoltre alcuni degli elementi fondamentali su cui poggia il racconto dei protagonisti di questo libro, che sono poi gli elementi sui quali la Uilm è cresciuta: la concretezza, l’autonomia, lo spirito di libertà, la proposta partecipativa, la mancanza totale di complessi di inferiorità che ha permesso alla Uilm di confrontarsi in campo aperto con le altre esperienze sindacali.
In cosa consiste il libro? Il libro è un insieme di dialoghi. Non ci sono interviste. I giovani protagonisti di allora discutono fra di loro con il contributo di altri dirigenti sindacali che si inseriscono in questa discussione portando la loro esperienza. Dirigenti della Uilm, ma anche persone che hanno operato a livello locale ma in modo importante (penso ad esempio a Walter Galbusera a Milano, ad Aldo Pugliese a Taranto, a Vinicio Natali in Toscana) per realizzare quella squadra che ha fatto crescere su posizioni innovative la Uilm. Una prima considerazione su questo percorso mi fa dire che si delinea nel libro come si è costruita una classe dirigente di spessore: c’è voluto tempo, si sono voluti sacrifici, la capacità di stare insieme, la volontà di interloquire con i lavoratori, la necessità di viaggiare, di individuare come far avanzare il cambiamento, di fare formazione per gli altri e per se stessi. Enzo Mattina, ma non solo lui, ricorda nel libro come imparò ad affrontare i problemi che emergevano in fabbrica, utilizzando la esperienza di coloro che lo avevano preceduto o che spiegavano con competenza le questioni della organizzazione del lavoro come dello sfruttamento del lavoro.
Il secondo elemento che emerge da questo libro è una sorta di “album di famiglia”. Sono coloro che hanno operato per costruire questa nuova Uilm nelle varie province italiane ove si affermava la nuova Italia industriale: a Torino, a Milano, in Veneto, in Toscana, in Campania, in Puglia. Si tratta di figure che non sono più presenti o che sono inevitabilmente dimenticate, ma sono stati protagonisti importanti, perché venivano da una generazione precedente, quella che aveva fatta la Resistenza, che aveva partecipato alla Cgil unitaria , che aveva poi fatto la scissione per scelta ideale, che aveva di conseguenza vissuto il periodo delle divisioni sindacali degli anni Cinquanta. Ma che con l’avvio degli anni Sessanta comprendono che tutto sta mutando e si rende disponibile ad un’alleanza con i giovani più intraprendenti del sindacato metalmeccanico (a quel tempo avevano tra i venti e i trent’anni). E quei giovani dirigenti ripercorrono con numerosi episodi le tappe di quell’incontro con una generazione di sindacalisti e di operai del tempo passato che li aiutano a costruire una nuova classe dirigente. Al dunque in quei racconti c’è anche un omaggio alla generosità di questa generazione più anziana che ha avuto un ruolo talvolta anche decisivo per affermare un nuovo modo di fare sindacato.
Un altro elemento fondamentale che emerge da questi dialoghi che sono pieni di vita vissuta, a volte divertenti, a volte drammatici, sono le scelte che la Uilm più giovane ed aperta compie: la prima è quella di individuare il motore del loro impegno in, Giorgio Benvenuto. la seconda è la capacità di fare gruppo, di costruire una solidarietà interna alla Uilm solida nell’affrontare i difficili confronti interni ma che avrà il rispetto delle altre categorie, della Fim e della Fiom in particolare, divenendo un aspetto rilevante soprattutto quando la Uilm dovrà fronteggiare la sconfessione da parte della Uil per la sua scelta unitaria. E questa coesione nella Uilm e fra i metalmeccanici convince anche le grande aziende del settore, in testa la Fiat, a riconoscere la Uilm e a scegliere di confrontarsi con un sindacato unito, abbandonando il costume imprenditoriale degli anni ’50 di giocare sulle divisioni sindacali.
Il terzo elemento riguarda la capacità di aver capito, anche attraverso un modo diverso di fare sindacato, il valore delle trasformazioni e i cambiamenti del paese. Forse un aiuto è giunto da alcuni fenomeni generali che hanno scosso quella società: la prima esperienza del Centrosinistra che apre la stagione delle riforme; il Concilio Vaticano secondo che va oltre il conservatorismo cattolico e diviene esso stesso un veicolo riformatore in senso progressista ed aperto. La Uilm ne fa tesoro con la sua duttilità, con la sua agilità di pensiero, riesce a intravedere qual è la strada da percorrere in un mondo del lavoro che sta cambiando radicalmente e che inizia a reclamare nuovi diritti, nuove riforme sociali , pensiamo alla scuola, alla sanità, alle pensioni.
Ma c’è un altro aspetto secondo me interessante. Questo libro racconta di un percorso sindacale che non viene intrapreso per… carrierismo. Fare il sindacato allora non dava grande prestigio. Il sindacato era quasi ignorato dai media di allora, i giornali ne parlavano pochissimo. I veri percorsi di carriera erano altri: poteva essere la politica, la cultura, o come sottolineava Enzo Mattina, l’avvocato, il notaio; ed ancora il professore, il grande medico, il professionista. Il sindacato non era considerato un percorso per ricevere onori. Tanto è vero che il contesto che viene raccontato parla della modestia delle sedi, dei mezzi. Per farla breve un percorso tutto in salita. Questo libro di conseguenza dà atto della loro tenacia, della loro costanza e della passione che in molti hanno messo nel creare un’organizzazione che poi insieme a Fim e Fiom ha costruito una grande stagione di risultati di grande valore per il mondo del lavoro. Quando il libro dice nel titolo “Non fu un’illusione…” si riferisce proprio ad un grande sforzo collettivo che ha prodotto più diritti e migliori condizioni di lavoro, ma ha anche aperto una breccia nei problemi di società. Un lavoro che non poteva essere fatto e concluso se non ci fosse stato uno spirito solidale che teneva uniti quei dirigenti dei metalmeccanici.
Il tentativo compiuto con questo libro è quello di narrare questa avventura attraverso i tanti episodi in cui si sono imbattuti i protagonisti. Ne ricordo alcuni: il primo è raccontato da Silvano Veronese. In queste settimane abbiamo assistito ad abbattimenti di statue in giro per il mondo. Anche allora ci fu un fatto clamoroso: si abbatté a Valdagno la statua del conte Marzotto perché era un simbolo del paternalismo padronale. Cosa c’era dietro questo abbattimento che lo rende differente da quelli di oggi? C’era una grande spinta sempre più unitaria dei lavoratori a non voler più sottostare ad un modo di gestire il lavoro che ne umiliava la dignità. Una spinta sindacale forte ma anche piena di proposte per intervenire sulla organizzazione del lavoro, sulle condizioni in fabbrica, sulla salute, sulle differenze salariali. Quindi dietro questa protesta molto dura, emergeva una ribellione in nome di una proposta che teneva conto dei tempi cambiati.
Ma non si trattò solo di cambiare modo di fare il sindacato, ma anche di comportarsi: Silvano Veronese, ad esempio, ricorda che per rompere le barriere sociali si ricorreva a scelte che cozzavano con un certo costume del tempo. Ed allora non ci pensa due volte e butta via la cravatta e va la sera, se era necessario, anche nelle osterie, a parlare con i lavoratori davanti ad un bicchiere di vino. Questo dà il senso di una capacità di rapporto con una realtà della classe lavoratrice che poi ha dato i suoi frutti. In un altro passo di questi dialoghi Walter Galbusera racconta l’impegno profuso per intervenire in decine e decine di assemblee a Milano per conquistare il consenso alle proprie posizioni. Queste assemblee si concludevano con un voto, che diventava così la rappresentazione inconfutabile della conquista di un vero consenso fra le lavoratrici e i lavoratori.
Vi è un altro aspetto sul quale vale la pena di soffermarsi. Rai Storia propone delle trasmissioni molto belle. Come quella dedicata ai moti di Reggio Calabria che per mesi fu in balia del ’Boia chi molla’. Solo alla fine della puntata si ricorda come se fosse un dettaglio la manifestazione sindacale che fu fatta a Reggio e di cui invece il libro da conto diffusamente. Tra l’altro bisogna ricordare che i metalmeccanici assieme agli edili andarono a Reggio Calabria dopo aver costituito formalmente l’FLM, Era quindi la prima manifestazione unitaria dopo la nascita dell’FLM. In realtà quella manifestazione era la conclusione di un percorso e l’inizio di un altro. Vi parteciparono non a caso molti lavoratori meridionali che si erano traferiti al nord, erano diventati protagonisti delle lotte sindacali della fine degli anni Sessanta e dell’autunno caldo. In loro c’era il desiderio forte di affrontare l’emarginazione del sud dallo sviluppo del Paese che li aveva costretti ad emigrare. Ecco perché il sindacato va a Reggio anche per dare forza e prospettiva allo sforzo fatto da tanti giovani lavoratori meridionali nel nord, perché in qualche modo mentre lottavano per il contratto pensavano anche alla loro terra lottando per i loro diritti. Inoltre quella manifestazione dimostrò che l’impegno sindacale non si fermava alla contrattazione ma intendeva imporre a tutto il Paese un problema troppo spesso sacrificato : la necessità di interventi risolutivi per lo sviluppo del sud. Andando a Reggio Calabria dimostrava di essere un protagonista della vicenda economica e sociale del Paese a 360°. Il filo rosso è quello di un’unità, di una passione che si sviluppa in queste vicende che ha conseguito indubbi risultati politici, economici e sindacali.
Nel libro sono presenti anche gli operai con i loro problemi e la loro vita. Giorgio Benvenuto ricorda un episodio significativo di quegli anni: quando Giuseppe Saragat diventa Presidente della Repubblica vuole che il 2 giugno nei giardini del Quirinale vengano invitati anche lavoratrici e lavoratori. Avviene che questi operai, orgogliosi di questo invito, “animano” la festa che era riservata alla… crema della società. Ed uno di loro sbadatamente urta una signora che reagisce umiliandolo con insulti indispettiti. Ma l’operaio non da peso alla reazione. Era là, su invito del Presidente della Repubblica, cittadino al pari degli altri come voleva la Costituzione. E gli bastava. Il libro racconta di questa fondamentale passione che unì dirigenti e lavoratori. Aldo Pugliese, a lungo Segretario generale della Uil Puglia ma che iniziò a lavorare all’Italsider di Taranto, racconta come era orgoglioso di essere entrato a far parte della società che la Uilm aveva costituito, al pari di Fim e Fiom, per acquistare la sede unitaria della Flm di Corso Trieste a Roma. “Sentivo che un pezzettino di quel palazzo era anche mio” afferma Pugliese. Nella sua rievocazione del percorso compiuto nella Uilm oggi Rocco Palombella ha ricordato il tenace impegno per conservare quel palazzo e per non venderlo in nome di una identità che andava difesa. Un esempio d continuità che fa ben sperare anche per il futuro.


DI SEGUITO L’INTERVENTO DI SANDRO ROAZZI ALLA PRESENTAZIONE DEL SUO LIBRO ’FORSE UN’UTOPIA, MA NON FU UN’ILLUSIONE... GLI ANNI ‘60 e ‘70 FRA I METALMECCANICI UILM E FLM’. 28 luglio 2020.   Le mie non saranno delle conclusioni ma innanzitutto dei ringraziamenti, perché la stesura di questo libro è il frutto di un lavoro di gruppo e sono grato a chi lo ha assecondato offrendo con i propri ricordi la possibilità di ricostruire un percorso di vita e lavoro sindacale, quello degli anni Sessanta che arriva fino alla costituzione dell’FLM, ovvero al raggiungimento dell’obiettivo unitario dei metalmeccanici. È già stato detto che non si tratta di una storia sindacale ma è un insieme di storie personali, esperienze di gruppo che ci permettono di fare anche qualche riflessione sul valore di quell’impegno. Un ringraziamento sentito va anche a Piero Craveri che con la sua prefazione ha disegnato con acutezza lo scenario generale di quel decennio nel quale si è inserito questo percorso di ricordi ed esperienze umane e sindacali. Ed un ringraziamento a Rocco Palombella che ha concluso questo viaggio nei ricordi proponendo la sua esperienza che lo ha condotto ad essere il Segretario generale della Uilm, in grande sintonia con lo spirito del libro. Nella sua postfazione ha ricordato inoltre alcuni degli elementi fondamentali su cui poggia il racconto dei protagonisti di questo libro, che sono poi gli elementi sui quali la Uilm è cresciuta: la concretezza, l’autonomia, lo spirito di libertà, la proposta partecipativa, la mancanza totale di complessi di inferiorità che ha permesso alla Uilm di confrontarsi in campo aperto con le altre esperienze sindacali. In cosa consiste il libro? Il libro è un insieme di dialoghi. Non ci sono interviste. I giovani protagonisti di allora discutono fra di loro con il contributo di altri dirigenti sindacali che si inseriscono in questa discussione portando la loro esperienza. Dirigenti della Uilm, ma anche persone che hanno operato a livello locale ma in modo importante (penso ad esempio a Walter Galbusera a Milano, ad Aldo Pugliese a Taranto, a Vinicio Natali in Toscana) per realizzare quella squadra che ha fatto crescere su posizioni innovative la Uilm. Una prima considerazione su questo percorso mi fa dire che si delinea nel libro come si è costruita una classe dirigente di spessore: c’è voluto tempo, si sono voluti sacrifici, la capacità di stare insieme, la volontà di interloquire con i lavoratori, la necessità di viaggiare, di individuare come far avanzare il cambiamento, di fare formazione per gli altri e per se stessi. Enzo Mattina, ma non solo lui, ricorda nel libro come imparò ad affrontare i problemi che emergevano in fabbrica, utilizzando la esperienza di coloro che lo avevano preceduto o che spiegavano con competenza le questioni della organizzazione del lavoro come dello sfruttamento del lavoro.  Il secondo elemento che emerge da questo libro è una sorta di “album di famiglia”. Sono coloro che hanno operato per costruire questa nuova Uilm nelle varie province italiane ove si affermava la nuova Italia industriale: a Torino, a Milano, in Veneto, in Toscana, in Campania, in Puglia. Si tratta di figure che non sono più presenti o che sono inevitabilmente dimenticate, ma sono stati protagonisti importanti, perché venivano da una generazione precedente, quella che aveva fatta la Resistenza, che aveva partecipato alla Cgil unitaria , che aveva poi fatto la scissione per scelta ideale, che aveva di conseguenza vissuto il periodo delle divisioni sindacali degli anni Cinquanta. Ma che con l’avvio degli anni Sessanta comprendono che tutto sta mutando e si rende disponibile ad un’alleanza con i giovani più intraprendenti del sindacato metalmeccanico (a quel tempo avevano tra i venti e i trent’anni). E quei giovani dirigenti ripercorrono con numerosi episodi le tappe di quell’incontro con una generazione di sindacalisti e di operai del tempo passato che li aiutano a costruire una nuova classe dirigente. Al dunque in quei racconti c’è anche un omaggio alla generosità di questa generazione più anziana che ha avuto un ruolo talvolta anche decisivo per affermare un nuovo modo di fare sindacato. Un altro elemento fondamentale che emerge da questi dialoghi che sono pieni di vita vissuta, a volte divertenti, a volte drammatici, sono le scelte che la Uilm più giovane ed aperta compie: la prima è quella di individuare il motore del loro impegno in, Giorgio Benvenuto. la seconda è la capacità di fare gruppo, di costruire una solidarietà interna alla Uilm solida nell’affrontare i difficili confronti interni ma che avrà il rispetto delle altre categorie, della Fim e della Fiom in particolare, divenendo un aspetto rilevante soprattutto quando la Uilm dovrà fronteggiare la sconfessione da parte della Uil per la sua scelta unitaria. E questa coesione nella Uilm e fra i metalmeccanici convince anche le grande aziende del settore, in testa la Fiat, a riconoscere la Uilm e a scegliere di confrontarsi con un sindacato unito, abbandonando il costume imprenditoriale degli anni ’50 di giocare sulle divisioni sindacali.  Il terzo elemento riguarda la capacità di aver capito, anche attraverso un modo diverso di fare sindacato, il valore delle trasformazioni e i cambiamenti del paese. Forse un aiuto è giunto da alcuni fenomeni generali che hanno scosso quella società: la prima esperienza del Centrosinistra che apre la stagione delle riforme; il Concilio Vaticano secondo che va oltre il conservatorismo cattolico e diviene esso stesso un veicolo riformatore in senso progressista ed aperto. La Uilm ne fa tesoro con la sua duttilità, con la sua agilità di pensiero, riesce a intravedere qual è la strada da percorrere in un mondo del lavoro che sta cambiando radicalmente e che inizia a reclamare nuovi diritti, nuove riforme sociali , pensiamo alla scuola, alla sanità, alle pensioni. Ma c’è un altro aspetto secondo me interessante. Questo libro racconta di un percorso sindacale che non viene intrapreso per… carrierismo. Fare il sindacato allora non dava grande prestigio. Il sindacato era quasi ignorato dai media di allora, i giornali ne parlavano pochissimo. I veri percorsi di carriera erano altri: poteva essere la politica, la cultura, o come sottolineava Enzo Mattina, l’avvocato, il notaio; ed ancora il professore, il grande medico, il professionista. Il sindacato non era considerato un percorso per ricevere onori. Tanto è vero che il contesto che viene raccontato parla della modestia delle sedi, dei mezzi. Per farla breve un percorso tutto in salita. Questo libro di conseguenza dà atto della loro tenacia, della loro costanza e della passione che in molti hanno messo nel creare un’organizzazione che poi insieme a Fim e Fiom ha costruito una grande stagione di risultati di grande valore per il mondo del lavoro. Quando il libro dice nel titolo “Non fu un’illusione…” si riferisce proprio ad un grande sforzo collettivo che ha prodotto più diritti e migliori condizioni di lavoro, ma ha anche aperto una breccia nei problemi di società. Un lavoro che non poteva essere fatto e concluso se non ci fosse stato uno spirito solidale che teneva uniti quei dirigenti dei metalmeccanici. Il tentativo compiuto con questo libro è quello di narrare questa avventura attraverso i tanti episodi in cui si sono imbattuti i protagonisti. Ne ricordo alcuni: il primo è raccontato da Silvano Veronese. In queste settimane abbiamo assistito ad abbattimenti di statue in giro per il mondo. Anche allora ci fu un fatto clamoroso: si abbatté a Valdagno la statua del conte Marzotto perché era un simbolo del paternalismo padronale. Cosa c’era dietro questo abbattimento che lo rende differente da quelli di oggi? C’era una grande spinta sempre più unitaria dei lavoratori a non voler più sottostare ad un modo di gestire il lavoro che ne umiliava la dignità. Una spinta sindacale forte ma anche piena di proposte per intervenire sulla organizzazione del lavoro, sulle condizioni in fabbrica, sulla salute, sulle differenze salariali. Quindi dietro questa protesta molto dura, emergeva una ribellione in nome di una proposta che teneva conto dei tempi cambiati.  Ma non si trattò solo di cambiare modo di fare il sindacato, ma anche di comportarsi: Silvano Veronese, ad esempio, ricorda che per rompere le barriere sociali si ricorreva a scelte che cozzavano con un certo costume del tempo. Ed allora non ci pensa due volte e butta via la cravatta e va la sera, se era necessario, anche nelle osterie, a parlare con i lavoratori davanti ad un bicchiere di vino. Questo dà il senso di una capacità di rapporto con una realtà della classe lavoratrice che poi ha dato i suoi frutti. In un altro passo di questi dialoghi Walter Galbusera racconta l’impegno profuso per intervenire in decine e decine di assemblee a Milano per conquistare il consenso alle proprie posizioni. Queste assemblee si concludevano con un voto, che diventava così la rappresentazione inconfutabile della conquista di un vero consenso fra le lavoratrici e i lavoratori.  Vi è un altro aspetto sul quale vale la pena di soffermarsi. Rai Storia propone delle trasmissioni molto belle. Come quella dedicata ai moti di Reggio Calabria che per mesi fu in balia del ’Boia chi molla’. Solo alla fine della puntata si ricorda come se fosse un dettaglio la manifestazione sindacale che fu fatta a Reggio e di cui invece il libro da conto diffusamente. Tra l’altro bisogna ricordare che i metalmeccanici assieme agli edili andarono a Reggio Calabria dopo aver costituito formalmente l’FLM, Era quindi la prima manifestazione unitaria dopo la nascita dell’FLM. In realtà quella manifestazione era la conclusione di un percorso e l’inizio di un altro. Vi parteciparono non a caso molti lavoratori meridionali che si erano traferiti al nord, erano diventati protagonisti delle lotte sindacali della fine degli anni Sessanta e dell’autunno caldo. In loro c’era il desiderio forte di affrontare l’emarginazione del sud dallo sviluppo del Paese che li aveva costretti ad emigrare. Ecco perché il sindacato va a Reggio anche per dare forza e prospettiva allo sforzo fatto da tanti giovani lavoratori meridionali nel nord, perché in qualche modo mentre lottavano per il contratto pensavano anche alla loro terra lottando per i loro diritti. Inoltre quella manifestazione dimostrò che l’impegno sindacale non si fermava alla contrattazione ma intendeva imporre a tutto il Paese un problema troppo spesso sacrificato : la necessità di interventi risolutivi per lo sviluppo del sud. Andando a Reggio Calabria dimostrava di essere un protagonista della vicenda economica e sociale del Paese a 360°. Il filo rosso è quello di un’unità, di una passione che si sviluppa in queste vicende che ha conseguito indubbi risultati politici, economici e sindacali.  Nel libro sono presenti anche gli operai con i loro problemi e la loro vita. Giorgio Benvenuto ricorda un episodio significativo di quegli anni: quando Giuseppe Saragat diventa Presidente della Repubblica vuole che il 2 giugno nei giardini del Quirinale vengano invitati anche lavoratrici e lavoratori. Avviene che questi operai, orgogliosi di questo invito, “animano” la festa che era riservata alla… crema della società. Ed uno di loro sbadatamente urta una signora che reagisce umiliandolo con insulti indispettiti. Ma l’operaio non da peso alla reazione. Era là, su invito del Presidente della Repubblica, cittadino al pari degli altri come voleva la Costituzione. E gli bastava. Il libro racconta di questa fondamentale passione che unì dirigenti e lavoratori. Aldo Pugliese, a lungo Segretario generale della Uil Puglia ma che iniziò a lavorare all’Italsider di Taranto, racconta come era orgoglioso di essere entrato a far parte della società che la Uilm aveva costituito, al pari di Fim e Fiom, per acquistare la sede unitaria della Flm di Corso Trieste a Roma. “Sentivo che un pezzettino di quel palazzo era anche mio” afferma Pugliese. Nella sua rievocazione del percorso compiuto nella Uilm oggi Rocco Palombella ha ricordato il tenace impegno per conservare quel palazzo e per non venderlo in nome di una identità che andava difesa. Un esempio d continuità che fa ben sperare anche per il futuro.

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