Il Primo maggio di Giorgio Benvenuto


L'italia di ieri, di oggi e di domani.

FONDAZIONE BRUNO BUOZZI

Il Primo maggio di Giorgio Benvenuto

Non sempre il Primo maggio è stato un giorno di festa. Ma non è mai stato un passo indietro nella lunga lotta del movimento operaio per migliorare la società e renderla più giusta.
Semmai quest’anno dovrebbe essere un Primo Maggio di coraggio ed unità. La coincidenza con la presentazione del piano italiano in Europa è molto significativa: la pandemia non ci costringe in trincea, ma c’è un percorso di possibile crescita davanti a noi che occorre ad ogni costo imboccare e compiere per intero.
Il piano che il Governo Draghi ha approntato propone azioni e riforme che finalmente aprono uno scenario non più angusto come quello cui ci hanno abituato le forze politiche negli ultimi anni: traccheggiare al potere, giorno dopo giorno, senza un progetto, senza suscitare nuova fiducia nei cittadini con scelte che sapessero guardare lontano.
È un piano che si può discutere, ma senza compiere l’errore di lasciarlo in buona parte sulla carta. Già Calamandrei uno dei padri della Repubblica ammoniva a proposito della Costituzione: “essa non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta. La lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile”.
Oggi siamo più o meno nella stessa situazione: dobbiamo ricostruire il Paese e lo dobbiamo fare in modo strutturale ed equo. Si discute già se questo piano sia un porto sicuro per una economia liberista. Ragionare in tal modo è un errore: il piano sarà quello che la competizione politica e sociale farà. Ecco perché occorre un grande salto di qualità sul piano politico ed un coraggioso protagonismo su quello sociale e civile.
Il piano è una sfida aperta: le forze riformiste hanno una occasione di riscatto e di rilancio. Ma non possono adagiarsi sul presente, essere indulgenti sul trasformismo, perdersi nei soliti deprimenti ed egoisti interessi particolaristici.
La strada verso la rinascita del Paese non è solo in salita, è molto diversa dai tatticismi e dalle furbizie. È la strada lastricata non da retoriche intenzioni ma da buone proposte e da scelte coraggiose.
E c’è subito un modo per testare la direzione di marcia: le azioni e soprattutto le riforme non possono essere “allegati” al piano, ma devono diventare quel… combustibile di cui parlò Calamandrei.
Questo è un punto fondamentale per la riuscita dell’utilizzo delle risorse europee che il Governo Draghi otterrà. Ma proprio per tale motivo esso richiama una presenza sul campo delle forze sindacali che più di altre hanno la sensibilità sociale e la cultura riformatrice che debbono procedere assieme per offrire al Paese scelte e fatti davvero nuovi.
Di recente il nuovo Presidente degli Usa, Biden, ha avanzato una riforma fiscale che… raddrizza la progressività. Da noi più che raddrizzare si dovrebbe reinventare perché risponda finalmente a criteri di equità. Non può sfuggire del resto che ormai l’Irpef vive quasi solo delle imposte versate dal lavoro dipendente e dai pensionati. Recuperare un diverso disegno di progressività fiscale del resto offrirebbe più ossigeno ai ceti medi come ha ben compreso proprio Biden.
Dai sindacati nel passato si è avuto un contributo decisivo per salvare il Paese, dal terrorismo, dalla recessione, dalle crisi. Questo è oggi nuovamente il loro compito. Un piano che ha l’ambizione di costruire un futuro non per pochi ma per tutti non può decollare senza un ampio confronto ed un solido consenso sociale.
Ma quel piano vive anche di Europa. E qui forse c’è una sfida ancora più “alta” da affrontare per l’Italia che è uno dei Paesi fondatori: bisogna riconquistare l’Europa. Quella sociale, quella solidale, quella compatibile con uno sviluppo che non distrugga l’ambiente e non riduca i diritti del lavoro. Questa Europa in parte l’abbiamo già conosciuta, poi si è persa, proprio per l’avvento di due “sciagure”: il liberismo e la politica di austerità.
L’Europa deve dare risposte che facciano fare un nuovo passo avanti nella direzione di scelte sociali comuni. Sino a ieri l’Europa è stata quella dell’onnipotenza del mercato e della globalizzazione. Abbiamo visto come è finita. Ora si deve voltare pagina: la globalizzazione deve riguardare gli aspetti sociali, deve eliminare il dumping sociale e i paradisi fiscali. Con uno sforzo di proposta, certo graduale, che dovrebbe essere animato dal riformismo europeo come dal movimento sindacale si dovrebbero realizzare delle “clausole sociali” valide ovunque riferite ai contratti, al rispetto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
Questo Primo Maggio può a buon diritto volgere lo sguardo verso il 1946, l’anno della Costituente. E non solo perché in quel testo i parlamentari hanno dato alla centralità del lavoro il valore di dignità civile ed etica di uno Stato. Ma perché in essa vi è l’articolo 3, voluto fortemente dalla sinistra di allora, nel quale è scritto solennemente che la Repubblica ha il dovere di rimuovere gli ostacoli che non rendono interamente praticabili i fondamentali diritti di libertà, uguaglianza, solidarietà dei lavoratori (cittadini, non sudditi, in fabbrica e nella società). La Repubblica, non i governi, non i partiti, non gli altri poteri dello Stato. La Repubblica, ovvero tutti noi.
Buon Primo Maggio.


GIORGIO BENVENUTO  Non sempre il Primo maggio è stato un giorno di festa. Ma non è mai stato un passo indietro nella lunga lotta del movimento operaio per migliorare la società e renderla più giusta.  Semmai quest’anno dovrebbe essere un  Primo Maggio di coraggio ed unità. La coincidenza con la presentazione del piano italiano in Europa è molto significativa: la pandemia non ci costringe in trincea, ma c’è un percorso di possibile crescita davanti a noi che occorre ad ogni costo imboccare e compiere per intero.  Il piano che il Governo Draghi ha approntato propone azioni e riforme che finalmente aprono uno scenario non più angusto come quello cui ci hanno abituato le forze politiche negli ultimi anni: traccheggiare al potere, giorno dopo giorno, senza un progetto, senza suscitare nuova fiducia nei cittadini con scelte che sapessero guardare lontano. È un piano che si può discutere, ma senza compiere l’errore di lasciarlo in buona parte sulla carta. Già Calamandrei uno dei padri della Repubblica ammoniva a proposito della Costituzione: “essa non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta. La lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile”. Oggi siamo più o meno nella stessa situazione: dobbiamo ricostruire il Paese e lo dobbiamo fare in modo strutturale ed equo. Si discute già se questo piano sia un porto sicuro per una economia liberista. Ragionare in tal modo è un errore: il piano sarà quello che la competizione politica e sociale farà. Ecco perché occorre un grande salto di qualità sul piano politico ed un coraggioso protagonismo su quello sociale e civile.  Il piano è una sfida aperta: le forze riformiste hanno una occasione di riscatto e di rilancio. Ma non possono adagiarsi sul presente, essere indulgenti sul trasformismo, perdersi nei soliti deprimenti ed egoisti interessi particolaristici. La strada verso la rinascita del Paese non è solo in salita, è molto diversa dai tatticismi e dalle furbizie. È la strada lastricata non da retoriche intenzioni ma da buone proposte e da scelte coraggiose.  E c’è subito un modo per testare la direzione di marcia: le azioni e soprattutto le riforme non possono essere “allegati” al piano, ma devono diventare quel… combustibile di cui parlò Calamandrei.  Questo è un punto fondamentale per la riuscita dell’utilizzo delle risorse europee che il Governo Draghi otterrà. Ma proprio per tale motivo esso richiama una presenza sul campo delle forze sindacali che più di altre hanno la sensibilità sociale e la cultura riformatrice che debbono procedere assieme per offrire al Paese scelte e fatti davvero nuovi. Di recente il nuovo Presidente degli Usa, Biden, ha avanzato una riforma fiscale che… raddrizza la progressività. Da noi più che raddrizzare si dovrebbe reinventare perché risponda finalmente a criteri di equità. Non può sfuggire del resto che ormai l’Irpef vive quasi solo delle imposte versate dal lavoro dipendente e dai pensionati. Recuperare un diverso disegno di progressività fiscale del resto offrirebbe più ossigeno ai ceti medi come ha ben compreso proprio Biden.   Dai sindacati nel passato si è avuto un contributo decisivo per salvare il Paese, dal terrorismo, dalla recessione, dalle crisi. Questo è oggi nuovamente il loro compito. Un piano che ha l’ambizione di costruire un futuro non per pochi ma per tutti non può decollare senza un ampio confronto ed un solido consenso sociale.  Ma quel piano vive anche di Europa. E qui forse c’è una sfida ancora più “alta” da affrontare per l’Italia che è uno dei Paesi fondatori: bisogna riconquistare l’Europa. Quella sociale, quella solidale, quella compatibile con uno sviluppo che non distrugga l’ambiente e non riduca i diritti del lavoro. Questa Europa in parte l’abbiamo già conosciuta, poi si è persa, proprio per l’avvento di due “sciagure”: il liberismo e la politica di austerità.   L’Europa deve dare risposte che facciano fare un nuovo passo avanti nella direzione di scelte sociali comuni. Sino a ieri l’Europa è stata quella dell’onnipotenza del mercato e della globalizzazione. Abbiamo visto come è finita. Ora si deve voltare pagina: la globalizzazione deve riguardare gli aspetti sociali, deve eliminare il dumping sociale e i paradisi fiscali. Con uno sforzo di proposta, certo graduale, che dovrebbe essere animato dal riformismo europeo come dal movimento sindacale si dovrebbero realizzare delle “clausole sociali” valide ovunque riferite ai contratti, al rispetto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.  Questo Primo Maggio può a buon diritto volgere lo sguardo verso il 1946, l’anno della Costituente. E non solo perché in quel testo i parlamentari hanno dato alla centralità del lavoro il valore di dignità civile ed etica di uno Stato. Ma perché in essa vi è l’articolo 3, voluto fortemente dalla sinistra di allora, nel quale è scritto solennemente che la Repubblica ha il dovere di rimuovere gli ostacoli che non rendono interamente praticabili i fondamentali diritti di libertà, uguaglianza, solidarietà dei lavoratori (cittadini, non sudditi, in fabbrica e nella società). La Repubblica, non i governi, non i partiti, non gli altri poteri dello Stato. La Repubblica, ovvero tutti noi. Buon Primo Maggio.

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