Le culture della Repubblica per l’Europa


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Le culture della Repubblica per l’Europa

La Fondazione Bruno Buozzi è tra i firmatari del documento-appello per l’Europa

La Fondazione Bruno Buozzi è tra i firmatari del documento-appello per l’Europa Le culture della Repubblica per l’Europa LE CULTURE DELLA REPUBBLICA PER L’EUROPA
Le Fondazioni e gli istituti culturali proponenti intendono con questo documento aprire un dibattito sui principali problemi della crisi del nostro paese e dell’Europa, che necessitano di essere affrontati in tutta la loro drammatica portata. Chi si riconosce nei valori comuni delle culture fondatrici della Repubblica vede oggi messo a rischio di oblio e di negazione lo spirito della Resistenza e della Costituzione, che ha costituito la base per il contributo italiano alla costruzione dell’Unione Europea. La nostra convinzione è che gli eredi di quelle culture non possano ridursi al ruolo di testimoni del passato, ma debbano dimostrare capacità di reazione e di progettualità nel presente.
Si tratta di discutere temi decisivi e tra loro interconnessi come la delegittimazione delle classi dirigenti; le risposte nazionaliste alla globalizzazione; l’impasse della democrazia rappresentativa; la sofferenza dell’integrazione europea e del suo consenso popolare. Si tratta però anche di reagire alla rassegnazione verso l’affermazione delle forze e delle idee che alimentano queste tendenze. Partiamo dalla volontà di discutere e capire la crisi della politica in Europa e in Italia in una chiave di ampio respiro e svincolata dalla contingenza, nella convinzione che le tendenze nazionaliste e "sovraniste" non rappresentino una soluzione ma un problema ancora peggiore.
La stessa vicenda politica recente rimanda a scelte strategiche sempre più stringenti. La lunga trattativa tra governo italiano e Commissione UE ha messo in luce come un approccio meramente rivendicativo e una visione ristretta dell’interesse nazionale non favoriscano, e anzi impediscano, una seria discussione sulla riforma dell’Unione Europea, delle sue istituzioni, dell’eurozona. Nello stesso tempo, l’Italia si è trovata isolata in Europa, mentre una riforma autentica impone di stabilire alleanze attorno a progetti credibili e consensuali, a partire dal rilancio di una crescita del reddito e dell’occupazione sostenibile sul piano ambientale ed equa sul piano sociale.
La retorica antieuropea che negli ultimi tempi ha invaso il discorso politico italiano (ma anche di molti altri paesi) è infondata e autolesionista. L’Unione Europea continua a essere una potenza economica globale dotata di una moneta forte. Le sue capacità di rispondere alla crisi globale del 2008 sono state inizialmente limitate e criticabili, ma si sono rafforzate nel tempo. La vicenda della Grecia ha mostrato che uscire dall’euro è visto come un salto nel buio dalla maggioranza dei cittadini, la vicenda della Brexit sta mostrando quanto sia oneroso e azzardato lasciare l’Unione. L’appartenenza all’Europa è irrinunciabile sotto il profilo dei valori di progresso e civiltà politica che affondano le radici nella ricostruzione democratica e repubblicana dell’Italia, ma è altrettanto importante sotto il profilo degli interessi concreti e materiali del nostro Paese.
L’Unione è quindi una realtà indispensabile per pensare il futuro stesso del nostro Paese. Fare questa affermazione non significa occultare i suoi problemi e le sue contraddizioni, ma inquadrarli nella loro giusta dimensione. Bassa crescita e alta disoccupazione sono problemi cruciali da risolvere. Occorre che i cittadini italiani ed europei si sentano coinvolti non semplicemente in un sistema di vincoli, quanto in un progetto europeo dotato di una ampia legittimazione politica e istituzionale, in grado di promuovere lo sviluppo, difendere il welfare, rispondere in modo efficace alle crisi globali, a cominciare dalla crisi dei flussi migratori. Diversamente il rischio di una disgregazione dell’Unione potrebbe farsi reale, con conseguenze regressive e drammatiche per tutti. Non vogliamo nasconderci quanto è avvenuto sul piano politico, e cioè che nessun governo della zona euro che abbia seguito le prescrizioni delle autorità istituzionali europee sia riuscito a sopravvivere ai confronti elettorali. La Germania è naturalmente un caso a parte, ma la stessa coalizione che la guida si trova in una situazione politica certamente non facile e non riesce ad esercitare quel ruolo di aggregazione e di stimolo che le competerebbe.
Riteniamo che esista un nesso tra le difficoltà in cui si trova l’Europa e le trasformazioni della globalizzazione nel contesto della crisi del 2008. Già prima di essa, lo straordinario sviluppo dell’interdipendenza globale ha prodotto forti resistenze identitarie, che attraversano in forma nuova e aspra le sensibilità dei popoli. L’esplosione dei flussi migratori ha amplificato enormemente questa tendenza, producendo la rinascita di sentimenti xenofobi e di forze politiche pronte a sfruttarli. Lo spostamento della ricchezza mondiale verso l’Asia ha prodotto la percezione di un impoverimento in Occidente, dove le ineguaglianze della crescita mondiale si sono riverberate sulle classi medie e sulle classi lavoratrici. Si è incrinato il nesso tra democrazia e prosperità. Si è allentato il nesso transatlantico tra Europa e Stati Uniti.
Siamo in presenza di una regressione visibile e pericolosa della democrazia rappresentativa e liberale. Le idee e le pratiche delle "democrazie illiberali" hanno attecchito in vari paesi europei, delineando una risposta negativa alla mancata espansione della democrazia politica oltre i confini dello Stato nazionale, che pure rappresenta la vera sfida e necessità della nostra epoca. La questione cioè della democrazia nella dimensione sovranazionale e della sovranità condivisa. È a questa che si deve dare risposta. Costruire le passerelle giuste tra nazionale e sovranazionale, verso l’alto e verso il basso, questo il problema culturale e politico che è dinanzi all’Europa. Smetterla con il mito degli Stati Uniti d’Europa e procedere piuttosto alla riforma dell’eurozona, con gli Stati che aderiscono all’Unione monetaria. Su questo si è aperta la discussione tra Francia e Germania e su questo bisogna portare un contributo italiano. Può essere l’inizio di una nuova Europa, più solidale, più sociale, più politica, più globale, e insieme più attenta alla cura dei propri spazi, dei propri territori. È questa l’Europa per la quale val la pena di battersi, di impegnarsi.
Esiste un evidente rapporto tra crisi della democrazia europea e crisi della democrazia italiana. Molto più che altrove, è emersa da tempo in Italia un deficit di legittimazione delle classi dirigenti, anzitutto politiche, ma anche economiche, sociali e culturali. Le classi dirigenti del nostro Paese, salvo casi isolati, non hanno saputo prevedere o capire gli effetti “lunghi” della crisi globale del 2008. Si sono limitate a esorcizzare “il populismo” senza porsi il problema di come mantenere i rapporti col popolo. Sul piano politico assistiamo, come conseguenza, allo stravolgimento di un corretto rapporto tra le istituzioni ed il sistema di pesi e di contrappesi tra i vari poteri propri di ogni autentica democrazia, alla crescente manipolazione della comunicazione politica e dell’opinione pubblica, a gravi forme di intolleranza verso la libera informazione.
Le Fondazioni che hanno espresso la loro adesione a questo documento intendono promuovere una giornata di pubblico dibattito, coinvolgendo nella riflessione esponenti e soggetti della società civile, del mondo economico e della cultura italiana.
Fondazione Circolo Rosselli… Valdo Spini
Istituto Gramsci ……………………Silvio Pons
Istituto Sturzo……………………….Nicola Antonetti
Fondazione Buozzi -------------Giorgio Benvenuto
Fondazione Socialismo……….Gennaro Acquaviva

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