Pietro Nenni Ministro degli esteri 50 anni dopo


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Pietro Nenni Ministro degli esteri 50 anni dopo

Il contributo del Professor Pietro Neglie

Il Prof. Pietro Neglie La mia riflessione non può che partire dall’oggi, da un contesto caratterizzato da una preoccupante povertà del dibattito politico e culturale, da una superficiale discussione sui temi più significativi della nostra storia, e dal fatto che iniziative come questa testimonino la volontà e la capacità di tracciare la via per una inversione di tendenza quanto mai necessaria.
Gli studiosi sanno bene che spesso i convegni sono momenti autoreferenziali la cui utilità è limitata allo spettro ristretto dei partecipanti. Quello sui 50 anni di Pietro Nenni Ministro degli esteri ritengo si caratterizzi invece per l’importanza e l’attualità del tema affrontato, sia dal punto di vista storico sia da quello del dibattito politico nella sua accezione più ampia e più alta.
Specialmente oggi è più che necessaria una riflessione approfondita, a partire dall’esperienza passata, sui nessi fra politica interna e politica internazionale, sulla necessità di valorizzare gli interessi nazionali in un’ottica globale di tutela del valore inestimabile della pace in un contesto caratterizzato da cambiamenti negli equilibri mondiali da affrontare con enorme senso di responsabilità.
Fra i tanti messaggi di enorme attualità lasciatici da Pietro Nenni, occupa un posto fondamentale proprio la tutela della Pace internazionale, messa al di sopra delle convergenze ideologiche che legavano in quegli anni i comunisti ed i socialisti italiani – almeno fino al 1956 - all’Urss di Stalin. Da ministro degli Esteri si prodigò affinché la Nato raccogliesse la proposta dell’Unione sovietica di tenere un Conferenza sul disarmo, fedele a quell’equidistanza che non gli impedì di tenere il socialismo italiano saldamente ancorato all’Occidente e in linea con l’Atlantismo e l’Europeismo che furono la cifra della nostra politica estera. Dopo l’invasione della Cecoslovacchia ruppe gli indugi dell’Italia e diede il via libera al Trattato di non proliferazione nucleare, consapevole del pericolo incombente, di cui la crisi di Cuba aveva rappresentato un drammatico avvertimento fortunatamente chiuso con l’avvio di una nuova fase.
Ma da docente dell’Università di Trieste, a lungo cerniera fra due mondi un tempo ostili, sono due “i dossier” cui si dedicò con particolare impegno il leader socialista a destare il mio maggiore interesse: il riconoscimento della Repubblica Popolare di Cina, che andava accolta nella Comunità delle Nazioni, e l’avvio di contatti diretti con Tito sulla complessa situazione giuliana.
Accusati di velleitarismo dagli alleati statunitensi, noi italiani volevamo procedere sulla via del riconoscimento diplomatico della Repubblica popolare cinese all’insegna dell’autonomia nazionale. L’Atlantismo di Nenni era fuori discussione, ma certamente meno deciso di quello di Saragat e di Rumor. Tuttavia la complessa e lunga vicenda si concluse proprio come Nenni aveva sostenuto con il Segretario di Stato Usa, William Rogers, ossia con il riconoscimento: della Repubblica Popolare Cinese, e del diritto – disconosciuto a Taiwan - a rappresentare la Cina con un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Non credo servano richiami retorici alla plurisecolare vicinanza con la Cina, grazie a Marco Polo, per postulare la necessità di rafforzare i legami fra i nostri due paesi: eredi di civiltà millenarie siamo consapevoli dei nostri compiti storici affinché il valore supremo della pace sia garantito e la prosperità sia equamente e giustamente perseguita.

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