Quel grande dissertare illusorio fra eurobond e Mes di Pierluigi Sorti (Esponente Comitato scientifico Fondazione Bruno Buozzi)


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Quel grande dissertare illusorio fra eurobond e Mes di Pierluigi Sorti (Esponente Comitato scientifico Fondazione Bruno Buozzi)

Da vent’anni il Prodotto interno lordo italiano è cresciuto molto meno del resto dell’Europa.
Nelle graduatorie internazionali nei più svariati settori dell’economia, della cultura, della ricerca scientifica il nostro paese è vistosamente retrocesso.
I giovani che concludono il loro ciclo scolastico, salvo accettare occasioni di impiego non conformi al loro titolo scolastico e sono sempre più tentati a cercar il loro futuro oltre confine.
Il nostro Debito pubblico è costantemente cresciuto, sempre più oggetto di attenzione occhialuta da parte dei nostri partner europei, mentre da parte nostra è riguardato di fatto come fenomeno fisiologico ed irrimediabile.
In questi giorni di grande crisi politica e finanziaria il dibattito politico sul problema del nostro incalcolabile fabbisogno finanziario, si cristallizza sul dilemma del ricorso al Mes (il salva Stati, con le regole severe della restituzione dei prestiti erogati), oppure ad ipotizzare forme di finanziamento, a carattere solidale,
a carico proporzionale di tutti i paesi europei.
A confortare tale impostazione del nostro Governo, insieme con un gruppo di otto paesi, variamente motivati, fra cui Francia e Spagna, sono stati ricordati vecchi ma significativi momenti della storia europea.
Fra i quali, gli aiuti di cui beneficiò la Germania del dopo guerra: la riduzione a metà dei suoi debiti
di guerra e la sua inclusione nel piano Marshall.
Senza i quali, con una Germania stremata, l’Europa non sarebbe forse nemmeno nata.
È tutto vero, ma la crisi europea difficilmente ritroverà un percorso unitario, se non per un breve cammino, e otterrà solo risultati effimeri se la cercherà nell’identificazione di una forma di compensazione con prestiti ripartiti con equanimità in tutti i paesi europei.
La diagnosi dei rapporti fra gli Stati europei, deve risalire ai presupposti con cui il disegno europeo ebbe il suo concepimento, e modificarlo con il riconoscimento realistico dell’ottenimento della sua unità politica, solo in chiave federalista.
Con la immediata prosecuzione della revisione dei patti che ispirarono la moneta unica, nel prendere coscientemente atto degli errori commessi nello schema di conversione nell’euro del 1998. Senza tale passaggio, ogni concessione ottenuta sul piano finanziario da uno o più singoli stati, Italia soprattutto, si frangerà rovinosamente.
Ogni indugio al riguardo, vanificherà ogni intervento che non preluda tale passaggio.
Il nostro paese, dal cambio lira con marco e poi con l’euro, ha subito una espropriazione di potere d’acquisto a danno italiano, di centinaia di miliardi: cioè la causa fondamentale del nostro lungo declino. .
Ogni ipotesi di lavoro che non tenga conto di questa realtà d’origine avrà sicuro destino di far scorrere ulteriormente il nastro di una moneta che abbiamo irresponsabilmente accettato e che rappresenta, a parte le guerre, la decisione più rovinosa della nostra storia.


Da vent’anni il Prodotto interno lordo italiano è cresciuto molto meno del resto dell’Europa. Nelle graduatorie internazionali nei più svariati settori dell’economia, della cultura, della ricerca scientifica il nostro paese è vistosamente retrocesso. I giovani che concludono il loro ciclo scolastico, salvo accettare occasioni di impiego non conformi al loro titolo scolastico e sono sempre più tentati a cercar il loro futuro oltre confine.  Il nostro Debito pubblico è costantemente cresciuto, sempre più oggetto di attenzione occhialuta da parte dei nostri partner europei, mentre da parte nostra è riguardato di fatto come fenomeno fisiologico ed irrimediabile.  In questi giorni di grande crisi politica e finanziaria il dibattito politico sul problema del nostro incalcolabile fabbisogno finanziario, si cristallizza sul dilemma del ricorso al Mes (il salva Stati, con le regole severe della restituzione dei prestiti erogati), oppure ad ipotizzare forme di finanziamento, a carattere solidale,  a carico proporzionale di tutti i paesi europei.  A confortare tale impostazione del nostro Governo, insieme con un gruppo di otto paesi, variamente motivati, fra cui Francia e Spagna, sono stati ricordati vecchi ma significativi momenti della storia europea. Fra i quali, gli aiuti di cui beneficiò la Germania del dopo guerra: la riduzione a metà dei suoi debiti di guerra e la sua inclusione nel piano Marshall.  Senza i quali, con una Germania stremata, l’Europa non sarebbe forse nemmeno nata. È tutto vero, ma la crisi europea difficilmente ritroverà un percorso unitario, se non per un breve cammino, e otterrà solo risultati effimeri se la cercherà nell’identificazione di una forma di compensazione con prestiti ripartiti con equanimità in tutti i paesi europei.  La diagnosi dei rapporti fra gli Stati europei, deve risalire ai presupposti con cui il disegno europeo ebbe il suo concepimento, e modificarlo con il riconoscimento realistico dell’ottenimento della sua unità politica, solo in chiave federalista.  Con la immediata prosecuzione della revisione dei patti che ispirarono la moneta unica, nel prendere coscientemente atto degli errori commessi nello schema di conversione nell’euro del 1998. Senza tale passaggio, ogni concessione ottenuta sul piano finanziario da uno o più singoli stati, Italia soprattutto, si frangerà rovinosamente.  Ogni indugio al riguardo, vanificherà ogni intervento che non preluda tale passaggio.  Il nostro paese, dal cambio lira con marco e poi con l’euro, ha subito una espropriazione di potere d’acquisto a danno italiano, di centinaia di miliardi: cioè la causa fondamentale del nostro lungo declino. .  Ogni ipotesi di lavoro che non tenga conto di questa realtà d’origine avrà sicuro destino di far scorrere ulteriormente il nastro di una moneta che abbiamo irresponsabilmente accettato e che rappresenta, a parte le guerre, la decisione più rovinosa della nostra storia.

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