Sintesi dell’intervento di Franco Marini alla presentazione del libro "Agostino Marianetti, un socialista nella Cgil"


L'italia di ieri, di oggi e di domani.

FONDAZIONE BRUNO BUOZZI

Sintesi dell’intervento di Franco Marini alla presentazione del libro "Agostino Marianetti, un socialista nella Cgil"

Ricordare e ragionare su Agostino Marianetti significa ripercorrere, in modo emblematico ed esemplare il tracciato di una generazione ben precisa.
Parliamo della generazione dei giovani, figli delle famiglie lavoratrici che uscivano dalla crudele prova di una guerra tragica. Ragazze e ragazzi che, tra gli anni 50 e 60, diventavano operai della nuova industria; contadini che emigravano al Nord e nei grandi centri urbani che vedevano gonfiarsi le loro periferie ed hinterland; studenti che si diplomavano e laureavano, impiegandosi poi, nel clima eurforico del boom economico, in aziende piccole e grandi, in uffici, strutture ed enti pubblici ministeriali, parastatali e territoriali.
Giovani che si confrontavano con nuove ed inedite organizzazioni della società civile, politica e della produzione.
Furono tempi di difficoltà, quelli degli anni 90, che non risparmiarono niente e nessuno: tempi perfino di gogne e di esilii amara ed orgogliosi ... segnati persino da gesti di autodistruzione.
E noi non saremo mai abbastanza grati a quanti, nelle istituzioni pubbliche ed in quelle produttive e sociali, riuscirono a tenere saldo il bandolo degli eventi e a conservare comunque il controllo del Paese, scosso dalla crisi. Mi sto riferendo naturalmente, ai protagonisti di quella stagione della “Concertazione”, che vide impegnati pure noi.
Due brevi riflessioni, innanzi tutto.
LA PRIMA sul come e sul perché il sindacalismo confederale di CGIL, CISL e UIL potè comunque sopravvivere alla catastrofe pubblica, senza subire traumi irreversibili, nonostante qualche ammaccatura secondaria.
Al sindacato è andata, infatti, meglio che ad altre entità partitiche e sociali. Ciò indubbiamente anche grazie ad un valore e un impegno che largamente toccò tutto il Movimento organizzato dei lavoratori.
Alludo al valore “dell’Autonomia”: non solo dallo Stato e dai “padroni” ma anche dalla Politica e dal collateralismo partitico.
LA SECONDA riflessione riguarda invece la qualità e ricchezza di esperienze e testimonianze come quella di Marianetti e di non poche altre personalità del Laburismo, sia politico che sindacale.
Un rapporto di condivisione di valori democratici, tenace, pur nella distinzione dei reciproci ruoli.
E penso anche ad un Sindacalismo che seppe captare e gestire la necessità di rifondare la politica salariale, superando la fase dell’egualitarismo spinto degli anni 70 che aveva, peraltro, affrontato e sciolto alcuni nodi soffocanti in quel decennio, per esempio: il gap che vedeva differenze normative via via più inaccettabili tra impiegati ed operai, su ferie e malattie......
Segnalo ancora in questo quadro, le scelte ponderate che riuscimmo a fare sul controllo degli incrementi della produttività e sulla riparametrazione salariale, attraverso la contrattazione articolata.
In sintesi, stiamo commentando un libro che disegna una trama in corso d’opera, un affresco da cui risalta il lavorio di un sindacalismo unitario che sa dire “NO” al rivendicazionismo alla rinfusa e “SI” ad un cammino di progresso, attento al complesso della politica economica e sociale come strumenti di un bene comune equilibrato, teso costantemente alla inclusione attiva della classe lavoratrice nel contesto pubblico generale. Ma noi, sappiamo che vicende anche più gloriose delle nostre, possono risultare sterili, vane e sparire inghiottite nel gran calderone del “Tempo” senza lasciare traccia o impronta di sé.
Ed è proprio questo il rischio che stiamo correndo!
Di qui il dovere di cogliere anche circostanze come questa per qualche parola chiara e impegnativa.
Siamo in casa CGIL e c’è qua un dirigente sperimentato e di lungo corso della classe lavoratrice, come è Maurizio Landini.
A lui e a ciascuno di noi, riservisti oppure attivi ad ogni livello di responsabilità in quanto eletti democraticamente in rappresentanza di tante comunità di lavoro, chiedo di riconoscere che, a dispetto di un’apparente calma piatta, avvertiamo di essere alla viglia di immancabili burrasche!
Siamo sull’orlo di una crisi sistemica: politico-istituzionale oltre che finanziaria e sociale.
Non chiediamoci dunque vanamente “per chi suona la campana”: se per il governo giallo-verde in carico o per l’Opposizione che latita! Se suona per colpa di Trump o per colpa di “poteri forti” o controparti deboli o capitani d’industria poco coraggiosi. Per quanto ci compete, la campana sta suonando per noi, per tutto il Movimento Sindacale Italiano.
E, almeno, come CGIL, CISL e UIL, anche se io non mi fermerei al solo confederalismo storico ma getterei uno sguardo anche al sindacalismo autonomo e di base.... siamo ancora in tempo per mettere in salvo il patrimonio sociale che abbiamo.
Parlo del sogno generoso oggi dell’Unità Sindacale!
Abbiamo alle nostre spalle la vicenda di un tempo ormai più che secolare. Abbiamo collaudato la nostra tenuta, a fronte di dittature, guerre e distruzioni immani. Abbiamo pagato prezzi - anche di sangue - a violenti e fanatici di ogni colore!
Ma siamo qui! In piedi, perché svolgiamo una funzione insostituibile in qualsiasi tipo di società.
In queste stanze Giuseppe Di Vittorio ha portato il sapere e la cultura materiale del bracciantato agricolo. Altri dopo di lui e nelle nostre sedi, attraverso le seconde e terze generazioni del confederalismo, hanno aggiunto i saperi della rivoluzione industriale e quelli dello sviluppo del Terziario in tutte le sue articolazioni e specificità: da quelle bancarie, a quelle commerciali, a quelle gestionali, delle amministrazioni pubbliche e private.
Tre epoche, tre mondi che, in successione, si sono alternati alla guida del progresso umano, con accelerazione via via crescente, sovrapponendosi ma mai eliminando gli stadi precedenti, tutti compresenti perché non possono tramontare.
Oggi, infatti, è il momento delle tecnologie, dell’automazione, dei robot e dell’intelligenza artificiale, dell’informatica e della comunicazione.
E questa è la sfida per la quale occorrerà un Sindacato Nuovo che non parte certamente da zero.
Ma, adesso, quell’imprinting deve significare per noi, apertura a 360 gradi: alla generazione delle ragazze e dei giovani, a cominciare dal “neo-proletariato”; ai braccianti del nostro tempo; operai addetti ad inedite catene di montaggio; impiegati neppure più avviliti dalla ripetitività di mansioni che vengono trasferite alle macchine; falsi professionisti a partita-IVA; giovani donne ed uomini che rischiano soltanto di rappresentare la nuova edizione riverniciata come “Raider di Fedora” degli antichi garzoni e cascherini in bicicletta del 900.
Si tratta invece, e non di rado, di universitari e laureati brillantemente a Bari o alla Orientale di Napoli, a Palermo o a Sassari, che a volte spariscono dalle nostre famiglie per rispuntare in Cina o in Sud-Africa, in California o in Danimarca a fare ricchi quei paesi, impoverendo di altrettante energie e competenze il nostro Mezzogiorno.
Non possiamo e non dobbiamo tradire la storia e la missione sindacale fingendo di ignorare il loro richiamo; chiudendoci all’interno di ritualità formali e di prassi troppo consolidate per non essere sclerotiche!
Il mondo dei “BIG DATA”, pieni di tesori conoscitivi che attendono di essere organizzati e sfruttati per un balzo in avanti dell’ingegno e del lavoro, non aspetterà e non perdonerà i nostri ritardi e ci lascerà ai margini del divenire collettivo, senza compassione per la nostra decadenza!
Non devo certo sottolineare a voi e in questa sede che CGIL, CISL e UIL assieme rappresentano ancora una potente forza nel Paese!
E, dunque, non starò a citare le manifestazioni che avete organizzato negli ultimi tempi: da Piazza San Giovanni, a Bologna, a Piazza del Popolo e a Reggio Calabria...
Voi guidate ancora un’enorme e potente macchina di rappresentatività del lavoro. Non aspettate che diventi una macchina fatta solo di pensionati come me.
Landini, Annamaria Furlan e Barbagallo, siete depositari e custodi ma anche curatori responsabili di esperienze che hanno visto macinare e digerire divisioni, con momenti anche duri di scontri al nostro interno e nei nostri congressi.
Ora tutto il movimento sindacale è adulto e consapevole di sé, della sua forza e dei suoi doveri storici.
Mi fermo. Non devo suggerirvi passi da compiere! Tocca a voi di rinnovare e rilanciare gli strumenti della difesa del lavoro, che resta punto fondamentale della nostra storia.
Grazie per quel che farete. Non tra un anno ma domani!


Ricordate e ragionare su Agostino Marianetti significa ripercorrere, in modo emblematico ed esemplare il tracciato di una generazione ben precisa.  Parliamo della generazione dei giovani, figli delle famiglie lavoratrici che uscivano dalla crudele prova di una guerra tragica. Ragazze e ragazzi che, tra gli anni 50 e 60, diventavano operai della nuova industria; contadini che emigravano al Nord e nei grandi centri urbani che vedevano gonfiarsi le loro periferie ed hinterland; studenti che si diplomavano e laureavano, impiegandosi poi, nel clima eurforico del boom economico, in aziende piccole e grandi, in uffici, strutture ed enti pubblici ministeriali, parastatali e territoriali.  Giovani che si confrontavano con nuove ed inedite organizzazioni della società civile, politica e della produzione.  Furono tempi di difficoltà, quelli degli anni 90, che non risparmiarono niente e nessuno: tempi perfino di gogne e di esilii amara ed orgogliosi ... segnati persino da gesti di autodistruzione.  E noi non saremo mai abbastanza grati a quanti, nelle istituzioni pubbliche ed in quelle produttive e sociali, riuscirono a tenere saldo il bandolo degli eventi e a conservare comunque il controllo del Paese, scosso dalla crisi. Mi sto riferendo naturalmente, ai protagonisti di quella stagione della “Concertazione”, che vide impegnati pure noi.  Due brevi riflessioni, innanzi tutto.  LA PRIMA sul come e sul perché il sindacalismo confederale di CGIL, CISL e UIL potè comunque sopravvivere alla catastrofe pubblica, senza subire traumi irreversibili, nonostante qualche ammaccatura secondaria.  Al sindacato è andata, infatti, meglio che ad altre entità partitiche e sociali. Ciò indubbiamente anche grazie ad un valore e un impegno che largamente toccò tutto il Movimento organizzato dei lavoratori.  Alludo al valore “dell’Autonomia”: non solo dallo Stato e dai “padroni” ma anche dalla Politica e dal collateralismo partitico.  LA SECONDA riflessione riguarda invece la qualità e ricchezza di esperienze e testimonianze come quella di Marianetti e di non poche altre personalità del Laburismo, sia politico che sindacale.  Un rapporto di condivisione di valori democratici, tenace, pur nella distinzione dei reciproci ruoli.  E penso anche ad un Sindacalismo che seppe captare e gestire la necessità di rifondare la politica salariale, superando la fase dell’egualitarismo spinto degli anni 70 che aveva, peraltro, affrontato e sciolto alcuni nodi soffocanti in quel decennio, per esempio: il gap che vedeva differenze normative via via più inaccettabili tra impiegati ed operai, su ferie e malattie......  Segnalo ancora in questo quadro, le scelte ponderate che riuscimmo a fare sul controllo degli incrementi della produttività e sulla riparametrazione salariale, attraverso la contrattazione articolata.  In sintesi, stiamo commentando un libro che disegna una trama in corso d’opera, un affresco da cui risalta il lavorio di un sindacalismo unitario che sa dire “NO” al rivendicazionismo alla rinfusa e “SI” ad un cammino di progresso, attento al complesso della politica economica e sociale come strumenti di un bene comune equilibrato, teso costantemente alla inclusione attiva della classe lavoratrice nel contesto pubblico generale. Ma noi, sappiamo che vicende anche più gloriose delle nostre, possono risultare sterili, vane e sparire inghiottite nel gran calderone del “Tempo” senza lasciare traccia o impronta di sé.  Ed è proprio questo il rischio che stiamo correndo!  Di qui il dovere di cogliere anche circostanze come questa per qualche parola chiara e impegnativa.  Siamo in casa CGIL e c’è qua un dirigente sperimentato e di lungo corso della classe lavoratrice, come è Maurizio Landini.  A lui e a ciascuno di noi, riservisti oppure attivi ad ogni livello di responsabilità in quanto eletti democraticamente in rappresentanza di tante comunità di lavoro, chiedo di riconoscere che, a dispetto di un’apparente calma piatta, avvertiamo di essere alla viglia di immancabili burrasche!  Siamo sull’orlo di una crisi sistemica: politico-istituzionale oltre che finanziaria e sociale.  Non chiediamoci dunque vanamente “per chi suona la campana”: se per il governo giallo-verde in carico o per l’Opposizione che latita! Se suona per colpa di Trump o per colpa di “poteri forti” o controparti deboli o capitani d’industria poco coraggiosi. Per quanto ci compete, la campana sta suonando per noi, per tutto il Movimento Sindacale Italiano.  E, almeno, come CGIL, CISL e UIL, anche se io non mi fermerei al solo confederalismo storico ma getterei uno sguardo anche al sindacalismo autonomo e di base.... siamo ancora in tempo per mettere in salvo il patrimonio sociale che abbiamo.  Parlo del sogno generoso oggi dell’Unità Sindacale!  Abbiamo alle nostre spalle la vicenda di un tempo ormai più che secolare. Abbiamo collaudato la nostra tenuta, a fronte di dittature, guerre e distruzioni immani. Abbiamo pagato prezzi - anche di sangue - a violenti e fanatici di ogni colore!  Ma siamo qui! In piedi, perché svolgiamo una funzione insostituibile in qualsiasi tipo di società.  In queste stanze Giuseppe Di Vittorio ha portato il sapere e la cultura materiale del bracciantato agricolo. Altri dopo di lui e nelle nostre sedi, attraverso le seconde e terze generazioni del confederalismo, hanno aggiunto i saperi della rivoluzione industriale e quelli dello sviluppo del Terziario in tutte le sue articolazioni e specificità: da quelle bancarie, a quelle commerciali, a quelle gestionali, delle amministrazioni pubbliche e private.  Tre epoche, tre mondi che, in successione, si sono alternati alla guida del progresso umano, con accelerazione via via crescente, sovrapponendosi ma mai eliminando gli stadi precedenti, tutti compresenti perché non possono tramontare.  Oggi, infatti, è il momento delle tecnologie, dell’automazione, dei robot e dell’intelligenza artificiale, dell’informatica e della comunicazione.  E questa è la sfida per la quale occorrerà un Sindacato Nuovo che non parte certamente da zero.  Ma, adesso, quell’imprinting deve significare per noi, apertura a 360 gradi: alla generazione delle ragazze e dei giovani, a cominciare dal “neo-proletariato”; ai braccianti del nostro tempo; operai addetti ad inedite catene di montaggio; impiegati neppure più avviliti dalla ripetitività di mansioni che vengono trasferite alle macchine; falsi professionisti a partita-IVA; giovani donne ed uomini che rischiano soltanto di rappresentare la nuova edizione riverniciata come “Raider di Fedora” degli antichi garzoni e cascherini in bicicletta del 900.  Si tratta invece, e non di rado, di universitari e laureati brillantemente a Bari o alla Orientale di Napoli, a Palermo o a Sassari, che a volte spariscono dalle nostre famiglie per rispuntare in Cina o in Sud-Africa, Roma, 1° Luglio 2019 Traccia Intervento Franco Marini in California o in Danimarca a fare ricchi quei paesi, impoverendo di altrettante energie e competenze il nostro Mezzogiorno.  Non possiamo e non dobbiamo tradire la storia e la missione sindacale fingendo di ignorare il loro richiamo; chiudendoci all’interno di ritualità formali e di prassi troppo consolidate per non essere sclerotiche!  Il mondo dei “BIG DATA”, pieni di tesori conoscitivi che attendono di essere organizzati e sfruttati per un balzo in avanti dell’ingegno e del lavoro, non aspetterà e non perdonerà i nostri ritardi e ci lascerà ai margini del divenire collettivo, senza compassione per la nostra decadenza!  Non devo certo sottolineare a voi e in questa sede che CGIL, CISL e UIL assieme rappresentano ancora una potente forza nel Paese!  E, dunque, non starò a citare le manifestazioni che avete organizzato negli ultimi tempi: da Piazza San Giovanni, a Bologna, a Piazza del Popolo e a Reggio Calabria...  Voi guidate ancora un’enorme e potente macchina di rappresentatività del lavoro. Non aspettate che diventi una macchina fatta solo di pensionati come me.  Landini, Annamaria Furlan e Barbagallo, siete depositari e custodi ma anche curatori responsabili di esperienze che hanno visto macinare e digerire divisioni, con momenti anche duri di scontri al nostro interno e nei nostri congressi.  Ora tutto il movimento sindacale è adulto e consapevole di sé, della sua forza e dei suoi doveri storici.  Mi fermo. Non devo suggerirvi passi da compiere! Tocca a voi di rinnovare e rilanciare gli strumenti della difesa del lavoro, che resta punto fondamentale della nostra storia.  Grazie per quel che farete. Non tra un anno ma domani!

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