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   21 Gennaio 2020

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Alcune considerazioni su “La fabbrica intelligente” di Giuseppe Sabella e Natan Feltrin
di Giorgio Benvenuto


Alcune considerazioni su “La fabbrica intelligente” di Giuseppe Sabella e Natan Feltrin di Giorgio Benvenuto Il pregio di questa riflessione sui cambiamenti intercorsi e che continuano vertiginosamente a manifestarsi è quello di non abbandonarsi al pessimismo ma di indicare delle opportunità che sono alla portata della nostra economia ma che necessitano di un deciso cambiamento di paradigma.
Giustamente le considerazioni svolte da Giuseppe Sabella e da Natan Feltrin segnalano alcuni tenaci luoghi comuni che la rivoluzione tecnologica e la ricerca di nuovi equilibri mondiali hanno aggredito e logorato: uno per tutti la inconciliabilità fra progresso industriale e sostenibilità ambientale.
Mentre vanno superati taluni comportamenti che finiscono per impantanare la nostra economia e la nostra società in schemi che non rispondono più ai mutamenti di scenario come ad esempio il rifiuto della partecipazione dei lavoratori nelle aziende e d’altro canto l’atteggiamento dell’imprenditore che si orienta verso la innovazione solo quando vi è costretto e teme di essere altrimenti messo fuori mercato.
Ed è assai convincente il legame che gli autori vedono fra la crescita della produttività, da noi fin troppo sempre uguale a se stessa, ed il “luogo” nella quale essa può aumentare, vale a dire la sostenibilità ambientale. In tal modo infatti si colloca al centro dei processi economici e sociali la persona, il lavoratore, e si può intervenire meglio anche per evitare l’acuirsi di diseguaglianze. Del resto l’innovazione e le reti tecnologiche sono ormai quella tela di ragno che avvolge tutte le attività economiche e quindi come tali si riflette anche sul costume, sugli orientamenti, sulle decisioni dei singoli in modo sempre più evidente ed in alcuni casi non privo di pericoli.
Occorre insomma andare oltre una “stagnazione culturale”, come la definiscono opportunamente gli autori, per ritrovare non solo una indispensabile capacità critica nel valutare i fenomeni, ma anche per sapere governare le trasformazioni prima che ci sfuggano totalmente di mano.
Ed è fondamentale che questo difficile compito abbia nella centralità della persona la sua reale bussola ideale e valoriale.
Il rapporto fra produzione e ambiente diviene in tal modo il perno sul quale far muovere anche le relazioni industriali e far fare loro un salto di qualità nella direzione della partecipazione. Naturalmente, come si sostiene nella “fabbrica intelligente” non si deve trascurare il fatto che “lo sviluppo industriale vive della gradualità dei processi” anche se come si sottolinea spesso “questa gradualità in Italia è stata violentata“. Il nuovo problema è che oggi tale gradualità è sottoposta a stress che un tempo non esistevano. Si possono fare esempi di vario tipo: le guerre commerciali in atto nel mondo; il peso del debito globale che viaggia oltre i 255 trilioni di dollari, pari al 330% del Pil mondiale; la difficoltà a rappresentare blocchi sociali che è diventata terreno fertile per i populismi. E si potrebbe continuare.
Ma è soprattutto la materia prima della rivoluzione tecnologica, la massa di dati in movimento, a costituire nuove sfide mai affrontate davvero fino in fondo. Non sono lontani i tempi nei quali si riteneva che sia le vicende economiche che quelle politiche non avessero nulla a che fare con la rete e l’intelligenza artificiale. Oggi sfido chiunque a rimanere su questo assunto travolto dalla realtà che avanza inesorabile. Ma c’è di più: cambia il sistema per consolidare le posizioni sui mercati di riferimento, e questo mutamento non può non avere ripercussioni sull’insieme della società industriale, compresa la contrattazione.
E nascono questioni molto delicate: fino a che punto si possono delegare agli algoritmi ad esempio le gestioni di settori fondamentali per la vita collettiva, dalla giustizia dei tribunali a quella sociale. E fino a dove ci si può spingere nell’utilizzare la rete sui versanti della azione e propaganda politica, con l’affiorare delle fake news, ma anche con la impossibilità del cittadino di capire le vere ragioni di certe scelte e di certe battaglie. E non nasconde questa “oscurità” rischi di derive autoritarie?
E’ singolare come finora si sia scivolati quasi impercettibilmente verso un modus operandi che ha visto prima la grande finanza affrancarsi dai controlli e dominare sugli eventi politici ed economici e contemporaneamente, o se si vuole come conseguenza fatale, assistere ad un assoggettamento sempre più insidioso della pubblica opinione ad una comunicazione incontrollabile ma in grado di orientare in modo subdolo le convinzioni dei singoli. Manovrare le notizie sta diventando in ogni campo della nostra convivenza civile sempre più facile.
Ed allora come rispondere a questa evoluzione non priva di pericoli? Certamente con un richiamo alla consapevolezza che dovrebbe essere però presidiato soprattutto dai corpi intermedi, dalle forze sociali. E certamente da una ricerca di progetti indirizzata come sostengono gli autori ad un sistema industriale ed economico che non può caratterizzarsi solo perché ha più automazione: “l’intelligenza della fabbrica è ciò che riconosce il primato della persona al centro dello sviluppo; da qui un luogo di lavoro più a misura d’uomo…”. Una direzione di marcia ancor più necessaria ora che il lavoro stabile esiste sempre meno, che gli orari di lavoro sono destinati a cambiare, mentre il lavoro purtroppo resta compatibile con forme vecchie e nuove di sfruttamento pesante. Il richiamo a non fermarsi ad un vivacchiare nel presente, contenuto nella riflessione quanto mai stimolante proposta da Sabella e Feltrin è quindi quanto mai opportuna e lo è soprattutto in quel campo di azione che definiamo comunemente riformismo.

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