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La Russia cento anni dopo. L’analisi di Gualtiero Esposito

La rivoluzione russa 25 ottobre? No, 7 novembre. Attualmente la cronologia storica utilizza il calendario gregoriano, lo stesso in uso nella maggior parte del mondo occidentale nel 1917. In Russia, 100 anni fa invece, era in uso il calendario giuliano, ovvero 13 giorni in meno rispetto a quello gregoriano.
Stiamo parlando della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre come i sovietici la chiamavano. Una rivoluzione in due tempi: il primo quando fu deposto lo Zar e sostituito con un governo provvisorio che ha introdotto riforme liberali come il suffragio universale. Il secondo, quando Lenin e la sua fazione bolscevica hanno realizzato un “golpe” che ha dato origine al primo stato comunista del mondo.
Di tutto questo, 100 anni dopo, non c’è più traccia e non solo in Russia ormai sconvolta da divisioni sempre più profonde, ma nella stessa Europa e nel mondo che forse non vuole ricordare.
Nel paese dove tutto accadde, il portavoce del Cremlino, a chi gli chiedeva notizie sul programma commemorativo, ha dichiarato che "non c’è nulla da festeggiare”. Una affermazione che conferma quanto sia divisa l’attuale Russia e quanta paura evochino i fantasmi del passato.
Non ci sarà festa nazionale quel giorno, non ci sarà nemmeno una dichiarazione ufficiale del governo e la ragione ufficiale, per giustificare di aver ignorato l’evento, è che la Russia è troppo divisa per le conseguenze di quel periodo fatale.
In pochi riconoscono che gli sconvolgimenti del 1917 hanno trasformato il paese e il mondo generando un confronto ideologico con l’Occidente che ancora “avverte” i suoi effetti. Nella grande Russia dei giorni nostri ci sono persone che pensano che la rivoluzione ha rappresentato la morte della Grande Russia. Per molti altri, il passato sovietico è stato il momento migliore della loro vita.
Putin, dunque, sforzandosi di unire il paese deve aver pensato che "qualunque festività a livello statale avrebbe approfondito quelle divisioni".
"Conosciamo bene le conseguenze che questi grandi sconvolgimenti possono portare", ha detto nel suo discorso federale del dicembre dello scorso anno. E ancora: "Purtroppo il nostro Paese ha attraversato molti sconvolgimenti e conseguenze nel XX secolo".
E pochi mesi prima rispondendo a Lenin: "Non abbiamo bisogno della rivoluzione mondiale", lo accusò di aver nascosto sotto le fondamenta del nuovo Stato una «bomba a orologeria» che alla fine ne ha provocato la dissoluzione, “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”, come l’ha definita. E ha riabilitato Stalin, dittatore sanguinario che però vinse la Seconda guerra mondiale e costruì la grandezza dell’Urss.
Il presidente Putin odia l’idea stessa della rivoluzione, per non parlare dell’immagine di cittadini russi che cantano e danzano nelle strade per celebrare il rovesciamento di un qualsiasi governatore. Inoltre, il ricordo del 1917 non favorisce la costruzione dell’immagine del Cremlino e della storia russa come una lunga, marcia unificata alla grandezza, intesa a instillare un senso di orgoglio nazionale.
Putin è fortemente legato al passato sovietico e di quel passato vuole mantenere il sentimento di grande potenza e lo spirito imperiale. Vuole restaurare la stabilità dopo il rivolgimento seguito al crollo dell’Urss e riportare la Russia ai fasti del passato. Niente è meglio di un sano spirito imperialista per unire il paese. In Gran Bretagna lo hanno appena testato. E allora Putin è pronto a commemorare con entusiasmo i 400 anni della dinastia Romanov o il 70° anniversario della vittoria sul nazismo, eventi che ben esaltano la grandezza imperiale della Russia. Nel 1917, invece, non vede nessun mito edificante, ma solo una grande rivolta che gli riportano alla mente le rivoluzioni “colorate” comparse negli ultimi anni alle porte della Russia. Paura? Forse si. Anche se Putin si sente abbastanza sicuro del suo potere. Le recenti proteste anticorruzione non lo hanno impressionato più di tanto. È certo della fedeltà della maggior parte dei russi.
Il punto è come commemorare un evento che si oppone a tutto quello che lui stesso promuove?
Forse il giusto equilibrio è stato trovato in questa affermazione (di un pensatore filogovernativo) che derubrica la Rivoluzione di Ottobre a oggetto di studio per seminari e convegni: “Il centenario va commemorato sì, ma non celebrato, né festeggiato. Va capito a fondo per tirare le somme e trarne insegnamenti”.

Gualtiero Esposito

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