Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità


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Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità

Il film con Willem Dafoe che ha commosso il pubblico

Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità É uscito il 3 gennaio 2019 nelle sale italiane il film "Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità" diretto dal regista Julian Schnabel (pittore per hobby) e interpretato da Willem Dafoe. Già dopo solo quattro giorni ha fatto oltre un milione di incassi. Non si tratta della solita biografia dell’artista olandese più famoso di tutti i tempi, al contrario si potrebbe definire un film altamente psicologico, profondo, interiore. Si prende in considerazione l’ultimo anno e mezzo della vita di van Gogh: l’amicizia ossessiva con Paul Gauguin, l’attaccamento al fratello Theo, la pazzia e la cura all’interno del manicomio. Il regista ha voluto indagare la psiche del pittore, cercare di comprendere meglio la sua arte, la sua mente e soprattutto i suoi gesti, a volte estremi (il taglio dell’orecchio è un esempio). Non sono poche infatti le scene dove van Gogh è chiamato a rispondere ai suoi strani comportamenti: ne parla con il fratello, con il dottore, con il prete. Non è semplice entrare nella sua testa, forse troppo geniale per essere compresa dai suoi contemporanei. Willem Dafoe ha interpretato van Gogh in maniera magistrale, riuscendo a immedesimarsi completamente nei panni del pittore. Per questo ha vinto la Coppa Volpi al Festival del Cinema di Venezia come miglior attore. Le riprese, a volte un po’ "traballanti", a volte studiate per far sembrare che sia van Gogh stesso a farci vedere il mondo con i suoi occhi, sono perfette per il messaggio che il film vuole dare. Le scene sono state girate proprio nei luoghi dove van Gogh ha vissuto negli ultimi anni: Arles, l’istituto psichiatrico di Saint-Remy e Auvers-Sur-Oise. Anche la campagna è quella olandese, piena di quei colori che saranno presenti in gran parte delle tele dell’artista. Il film termina con la morte di van Gogh, ucciso da un colpo di pistola sull’addome. Ancora oggi non si sa con certezza se sia stato un colpo auto inflitto, o sparato da qualcun altro, anche se, sempre più preponderante, sta diventando la teoria dell’omicidio. In ogni caso van Gogh non scrisse nulla di questo e morì due giorni dopo il colpo (scriveva quasi quotidianamente lettere al fratello Theo che viveva a Parigi con la moglie e il figlio Vincent). Si spense all’età di 37 anni lasciandoci però un grandissimo numero di quadri: più di 900! Un numero davvero eccessivo per gli anni vissuti. E questa celerità era certamente legata al suo modo di dipingere: pennellate dense, veloci e stese senza uso di disegno preparatorio. Uno stile che non piaceva all’epoca, nemmeno Gauguin ne era entusiasta, dicendo che i suoi quadri erano talmente impastati di colore che sembravano una scultura di argilla. La sua arte era certamente anacronistica, fuori dal tempo. Lui stesso dirà nel film che i suoi quadri erano pronti per essere apprezzati nel futuro, in altre epoche e infatti così è stato.

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