Tre domande a Giorgio Benvenuto


L'italia di ieri, di oggi e di domani.

FONDAZIONE BRUNO BUOZZI

   24 Ottobre 2020

Tre domande a Giorgio Benvenuto

“Attivare un dialogo nazionale per affrontare la pandemia”
Perché occorre tassare i giganti del Web

di Patrizio Paolinelli

Il coronavirus è tornato a flagellare l’Italia, l’Europa e buona parte del mondo. Il nostro sistema sanitario e così gli altri sono già in stato di sofferenza e in alcuni casi di crisi. Per quanto riguarda il nostro paese cosa non è stato fatto per arrivare meno impreparati a questa seconda ondata della pandemia?

Si è perso del tempo e un po’ ci si è cullati sugli allori. L’apprezzamento generale che l’Italia ha ricevuto nella gestione della prima ondata è diventato un modo per pavoneggiarsi e non si sono affrontati con l’urgenza dovuta i problemi emersi a marzo. Vorrei ricordare che il nostro successo nel far fronte al coronavirus fu dovuto certamente alle misure imposte dal governo, ma anche e forse soprattutto all’abnegazione del personale sanitario e al corretto comportamento della stragrande maggioranza degli italiani. In primavera e in estate si è pensato che il problema fosse stato bene o male risolto e si è riaperto pressoché tutto. Apertura che è avvenuta più con un’ottica politico-elettorale che col necessario pragmatismo richiesto dalla situazione.

Guardi, qui non si tratta di trovare i colpevoli come purtroppo si usa fare troppo spesso. Ma di attrezzarsi con metodi diversi prima che sopraggiunga l’inverno. Durante la prima ondata si è affrontato il coronavirus con decisioni unilaterali del governo e dei presidenti delle Regioni e tralascio di ricordare le tante polemiche avvenute. Oggi mi sembra più che mai urgente mettere in piedi un rapporto costruttivo che coinvolga le opposizioni, gli enti locali e i corpi intermedi. Quando si attraversano fasi in cui è in gioco il destino del paese bisogna assolutamente cercare il dialogo con tutti gli attori politici e sociali. Ed è soprattutto il governo che deve attivare

Attraverso quale strumento si può attivare il dialogo nazionale di cui lei parla?

Occorrerebbero davvero gli stati generali. Stati generali per costruire una linea comune e un consenso diffuso sia tra le forze politiche che quelle sociali. Sennò ognuno se ne va per conto suo così come vediamo in questi giorni: la Sardegna chiude tutto, la Campania chiude le scuole, il Lazio e la Lombardia attivano il coprifuoco notturno. Il tutto in un clima da litigioso talk show. Ma questa modalità da si salvi chi può genera grande confusione nei cittadini e seri problemi di coordinamento nella gestione dell’emergenza sanitaria, nonché la protesta di tante categorie produttive. Penso all’industria dello spettacolo e più in generale dell’intrattenimento; penso al commercio, alla ristorazione e al turismo. Categorie oggi allo stremo e che scendono in piazza. Sul piano sociale è molto rischioso andare avanti così fino all’arrivo del vaccino. Per il quale peraltro pare servano ancora diversi mesi prima che sia disponibile.

A me sembra che sia necessario finirla con l’emanazione di decreti decisi nel cuore della notte mettendo tutti davanti al fatto compiuto. Una delle poche cose che ha funzionato in questo drammatico momento è stato l’accordo tra sindacati e Confindustria per la sicurezza sul posto di lavoro. Ma c’è stato un confronto, si è discusso e alla fine si è trovata l’intesa. Intesa che ha funzionato. Perché questo modo di procedere non è stato generalizzato? Mi rendo conto che sia più complicato quando si parla del sistema dell’istruzione o del sistema del trasporto pubblico di un’intera nazione. Ma se non ci si siede attorno a un tavolo con l’intento di risolvere i problemi il risultato è il disordine e lo sbando in cui oggi ci troviamo. D’altra parte non sono certo l’unico a insistere sulla necessità del dialogo. Vorrei ricordare che Mattarella ha più volte battuto con forza su questo tasto e ha invitato le forze politiche a superare le contrapposizioni. Purtroppo finora è rimasto inascoltato.

Intervenendo alla riunione plenaria del Parlamento europeo il commissario all’economia, Paolo Gentiloni, ha sostenuto che il coronavirus creerà milioni di nuovi poveri. Dobbiamo arrenderci a questa fatalità?

Con tutto il rispetto per Gentiloni correggerei la sua affermazione. Innanzitutto dobbiamo renderci conto che da tempo la finanziarizzazione dell’economia e la globalizzazione hanno aumentato la disuguaglianza sociale e creato nuovi poveri. È evidente poi che se su scala europea la pandemia non è contrastata molto meglio di come è stato fatto fino a oggi e se i tempi del Recovery Fund si allungano, allora senz’altro avremo nuovi disoccupati e nuovi poveri. Dunque, anziché fare previsioni forse sarebbe meglio prendere decisioni. Per esempio il sostegno dell’Unione alle economie nazionali andrebbe prolungato rispetto a quanto stabilito fino ad oggi. In questo senso osservo che sia all’interno del Parlamento europeo sia in Germania ci si sta interrogando sulla durata delle iniziative prese da Bruxelles. C’è infatti chi pensa che i limiti temporali fissati vadano estesi è che è necessario aumentare la quota dei finanziamenti a fondo perduto perché la ripresa dell’economia continentale sarà più lunga e più complicata del previsto.

È evidente che un’ipotesi simile ha necessità di risorse aggiuntive. Si tratta di capire dove reperirle. Occorrono idee nuove, non certo aumentare le tasse sulla benzina, i pedaggi autostradali e quant’altro. Ritengo che l’Europa abbia uno strumento formidabile: tassare gli incredibili profitti dei giganti del Web. Cosa sulla quale tutti si dichiarano d’accordo e come talvolta capita è proprio quando si ottiene l’unanimità che non si conclude nulla. Ma oltre a non pagare le tasse, o pagare cifre ridicole, con la pandemia i colossi dell’hi-tech stanno facendo affari d’oro perché una lunga serie di attività si sono spostate su Internet. So bene che l’Europa ha già provato a tassarli e che gli Stati Uniti si sono opposti minacciando di aumentare i dazi dei nostri prodotti che varcano l’oceano. Ma arrivati a questo punto della crisi è un rischio che bisogna correre. Un rischio calcolato perché se è vero che noi abbiamo bisogno del mercato americano è altrettanto vero che il mercato americano ha bisogno di quello europeo.


“Attivare un dialogo nazionale per affrontare la pandemia”  Perché occorre tassare i giganti del Web  di Patrizio Paolinelli  Il coronavirus è tornato a flagellare l’Italia, l’Europa e buona parte del mondo. Il nostro sistema sanitario e così gli altri sono già in stato di sofferenza e in alcuni casi di crisi. Per quanto riguarda il nostro paese cosa non è stato fatto per arrivare meno impreparati a questa seconda ondata della pandemia?  Si è perso del tempo e un po’ ci si è cullati sugli allori. L’apprezzamento generale che l’Italia ha ricevuto nella gestione della prima ondata è diventato un modo per pavoneggiarsi e non si sono affrontati con l’urgenza dovuta i problemi emersi a marzo. Vorrei ricordare che il nostro successo nel far fronte al coronavirus fu dovuto certamente alle misure imposte dal governo, ma anche e forse soprattutto all’abnegazione del personale sanitario e al corretto comportamento della stragrande maggioranza degli italiani. In primavera e in estate si è pensato che il problema fosse stato bene o male risolto e si è riaperto pressoché tutto. Apertura che è avvenuta più con un’ottica politico-elettorale che col necessario pragmatismo richiesto dalla situazione.   Guardi, qui non si tratta di trovare i colpevoli come purtroppo si usa fare troppo spesso. Ma di attrezzarsi con metodi diversi prima che sopraggiunga l’inverno. Durante la prima ondata si è affrontato il coronavirus con decisioni unilaterali del governo e dei presidenti delle Regioni e tralascio di ricordare le tante polemiche avvenute. Oggi mi sembra più che mai urgente mettere in piedi un rapporto costruttivo che coinvolga le opposizioni, gli enti locali e i corpi intermedi. Quando si attraversano fasi in cui è in gioco il destino del paese bisogna assolutamente cercare il dialogo con tutti gli attori politici e sociali. Ed è soprattutto il governo che deve attivare   Attraverso quale strumento si può attivare il dialogo nazionale di cui lei parla?  Occorrerebbero davvero gli stati generali. Stati generali per costruire una linea comune e un consenso diffuso sia tra le forze politiche che quelle sociali. Sennò ognuno se ne va per conto suo così come vediamo in questi giorni: la Sardegna chiude tutto, la Campania chiude le scuole, il Lazio e la Lombardia attivano il coprifuoco notturno. Il tutto in un clima da litigioso talk show. Ma questa modalità da si salvi chi può genera grande confusione nei cittadini e seri problemi di coordinamento nella gestione dell’emergenza sanitaria, nonché la protesta di tante categorie produttive. Penso all’industria dello spettacolo e più in generale dell’intrattenimento; penso al commercio, alla ristorazione e al turismo. Categorie oggi allo stremo e che scendono in piazza. Sul piano sociale è molto rischioso andare avanti così fino all’arrivo del vaccino. Per il quale peraltro pare servano ancora diversi mesi prima che sia disponibile.  A me sembra che sia necessario finirla con l’emanazione di decreti decisi nel cuore della notte mettendo tutti davanti al fatto compiuto. Una delle poche cose che ha funzionato in questo drammatico momento è stato l’accordo tra sindacati e Confindustria per la sicurezza sul posto di lavoro. Ma c’è stato un confronto, si è discusso e alla fine si è trovata l’intesa. Intesa che ha funzionato. Perché questo modo di procedere non è stato generalizzato? Mi rendo conto che sia più complicato quando si parla del sistema dell’istruzione o del sistema del trasporto pubblico di un’intera nazione. Ma se non ci si siede attorno a un tavolo con l’intento di risolvere i problemi il risultato è il disordine e lo sbando in cui oggi ci troviamo. D’altra parte non sono certo l’unico a insistere sulla necessità del dialogo. Vorrei ricordare che Mattarella ha più volte battuto con forza su questo tasto e ha invitato le forze politiche a superare le contrapposizioni. Purtroppo finora è rimasto inascoltato.    Intervenendo alla riunione plenaria del Parlamento europeo il commissario all’economia, Paolo Gentiloni, ha sostenuto che il coronavirus creerà milioni di nuovi poveri. Dobbiamo arrenderci a questa fatalità?  Con tutto il rispetto per Gentiloni correggerei la sua affermazione. Innanzitutto dobbiamo renderci conto che da tempo la finanziarizzazione dell’economia e la globalizzazione hanno aumentato la disuguaglianza sociale e creato nuovi poveri. È evidente poi che se su scala europea la pandemia non è contrastata molto meglio di come è stato fatto fino a oggi e se i tempi del Recovery Fund si allungano, allora senz’altro avremo nuovi disoccupati e nuovi poveri. Dunque, anziché fare previsioni forse sarebbe meglio prendere decisioni. Per esempio il sostegno dell’Unione alle economie nazionali andrebbe prolungato rispetto a quanto stabilito fino ad oggi. In questo senso osservo che sia all’interno del Parlamento europeo sia in Germania ci si sta interrogando sulla durata delle iniziative prese da Bruxelles. C’è infatti chi pensa che i limiti temporali fissati vadano estesi è che è necessario aumentare la quota dei finanziamenti a fondo perduto perché la ripresa dell’economia continentale sarà più lunga e più complicata del previsto.  È evidente che un’ipotesi simile ha necessità di risorse aggiuntive. Si tratta di capire dove reperirle. Occorrono idee nuove, non certo aumentare le tasse sulla benzina, i pedaggi autostradali e quant’altro. Ritengo che l’Europa abbia uno strumento formidabile: tassare gli incredibili profitti dei giganti del Web. Cosa sulla quale tutti si dichiarano d’accordo e come talvolta capita è proprio quando si ottiene l’unanimità che non si conclude nulla. Ma oltre a non pagare le tasse, o pagare cifre ridicole, con la pandemia i colossi dell’hi-tech stanno facendo affari d’oro perché una lunga serie di attività si sono spostate su Internet. So bene che l’Europa ha già provato a tassarli e che gli Stati Uniti si sono opposti minacciando di aumentare i dazi dei nostri prodotti che varcano l’oceano. Ma arrivati a questo punto della crisi è un rischio che bisogna correre. Un rischio calcolato perché se è vero che noi abbiamo bisogno del mercato americano è altrettanto vero che il mercato americano ha bisogno di quello europeo.

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