Tre domande a Giorgio Benvenuto “Gli statali hanno ragione a scioperare” Gli stati Generali dei 5 Stelle. L’intervento di Gentiloni sul nostro debito pubblico di Patrizio Paolinelli


L'italia di ieri, di oggi e di domani.

FONDAZIONE BRUNO BUOZZI

   23 Novembre 2020

Tre domande a Giorgio Benvenuto “Gli statali hanno ragione a scioperare” Gli stati Generali dei 5 Stelle. L’intervento di Gentiloni sul nostro debito pubblico di Patrizio Paolinelli

Qualche giorno fa si sono conclusi gli Stati generali dei 5 Stelle. Alcuni commentatori hanno sostenuto che la creatura di Beppe Grillo si è ormai trasformata in un partito, altri che si è trattato di un processo di crescita e che l’essenza movimentista dei pentastellati non cambia. Secondo lei chi ha ragione?

Nessuno, perché i 5 Stelle sono un soggetto difficile da definire. Diciamo che sono un grande stato d’animo composto da una miscela di rancore, frustrazione e ricerca del facile consenso. A proposito di quest’ultimo aspetto nel suo intervento agli Stati generali Roberto Fico ha detto che le strategie acchiappalike sono diffuse nel Movimento. Credo sia un’affermazione rivelatrice che conferma quanto quella che lei ha definito la creatura di Grillo sia un soggetto sfuggente. Sfuggente perché non si sa bene da dove viene e dov’è diretta. Insomma è un cocktail di soggettività che oggi ha un sapore e domani un altro. Il populismo è un’etichetta che molti gli attribuiscono. Ma quello che mi pare distingua i 5 Stelle dalla Lega come da altre espressioni del populismo è che è senza ideali, senza obiettivi, tantomeno quello della solidarietà sociale. Nascono come un aggregato di arrabbiati, come grandi accusatori della politica tout court e adesso che governano non sono più né l’uno né l’altro. E per questo motivo perdono consensi.

Piuttosto c’è da chiedersi come mai hanno avuto così tanto successo. A mio parere perché i partiti tradizionali si sono trasformati in universi chiusi, diretti da ceti autoreferenziali lontani dalla realtà quotidiana dei cittadini. In poche parole, è venuta meno la relazione tra partiti e società. Sono scomparse le sezioni, le scuole e i giornali di partito. Gli stessi politici non si formano più partendo dai gradini più bassi per fare carriera passo dopo passo. Ecco, i 5 Stelle hanno colmato l’immenso vuoto lasciato dalla crisi della politica. Sono figli della transizione ancora incompiuta tra la Prima e la Seconda Repubblica. Facendo leva sullo scontento di tanti cittadini hanno gestito la loro comunicazione politica con rabbia, rancore e approssimazione. Ha funzionato perché è un movimento che tiene conto degli umori della società e per questo motivo dice cose sia di destra che di sinistra. Ma non voglio essere distruttivo. Hanno saputo raccogliere la protesta. Non sono capaci di trasformarle in vere riforme. Non hanno capacità di governo. Rappresentano, però, una realtà che non va ignorata.

È prossima una manovra del governo che prevede uno scostamento di bilancio di circa 8 miliardi di euro. Il commissario europeo all’economia, Paolo Gentiloni, ha detto chiaramente che nel medio termine l’Italia dovrà ridurre il debito pubblico. Queste parole significano il ritorno dell’intransigenza europea sui nostri conti?

Guardi, ci troviamo in una situazione complessa perché il governo ha dovuto misurarsi con la seconda ondata della pandemia. Ondata che non era attesa e l’esecutivo ha iniziato a sparare i fuochi d’artificio sotto forma di decreti ristori. Siamo già al quarto. Tenga poi presente la legge di bilancio, da approvare entro il 31 dicembre, si basa anche su un anticipo da 20 miliardi del Recovery Fund. Come se non bastasse vorrei sottolineare un elemento che a me impensierisce parecchio. E cioè che questa legge di stabilità ha una sola lettura e non le consuete tre: una prima di presentazione in un ramo del Parlamento, successivamente il suo completamento nel secondo ramo, infine l’approvazione tra Natale e Capodanno. Adesso ci troviamo ad una estensione di una specie di monocameralismo alternato già in atto per i decreti legge. Quest’anno la legge di bilancio si discuterà in una sola Camera e l’altra si limiterà a votarla perché non ci sarà tempo per fare altro.

L’unione Europea è in forte imbarazzo. Siamo in ritardo. In ritardo perché non ci si è preparati alla seconda ondata del virus, in ritardo perché la legge di bilancio viene presentata alla fine di novembre, in ritardo perché non abbiamo ancora presentato a Bruxelles dei progetti operativi per utilizzare le risorse del Recovery Fund. Gentiloni, il commissario europeo per l’economia, sollecita il nostro paese a recuperare il tempo perduto. Non che sia un atteggiamento minaccioso o punitivo, vedo piuttosto una Europa preoccupata e delusa nei nostri confronti. Siamo un paese con un debito pubblico pauroso che aumenta vertiginosamente, siamo il paese che ha ricevuto la maggior quota di risorse dal Recovery Fund e ci troviamo in ritardo su tutto. Ce ne è abbastanza per dire al governo di darsi una mossa.

L’ultimo incontro tra governo e sindacati è stato molto teso ed è finito con la proclamazione di uno sciopero nazionale del pubblico impiego per il prossimo 9 dicembre. I buoni rapporti tra il premier Conte e le organizzazioni dei lavoratori volgono al termine?

Direi di no, anche se debbo registrare da parte del governo un po’ di insofferenza. In questo senso mi pare emblematica la puntualizzazione di Conte quando Bombardieri gli ha fatto notare che la legge di bilancio era già stata approvata dal Consiglio dei ministri senza un confronto con i sindacati. E dunque il loro incontro si riduceva a una pura informativa e di fatto non prevedeva discussione, cosa che le organizzazioni dei lavoratori avrebbero di gran lunga preferito. Il premier ha ribattuto sostenendo di non aver mai parlato di concertazione. Ora, la concertazione non è una cosa blasfema. Al contrario è utile all’esecutivo perché se ascolta le parti sociali evita la guerra per errore. Discutere con i corpi intermedi su come affrontare l’emergenza economica e su come impostare le modifiche strutturali non è affatto una bestemmia. Forse Conte non sa che la concertazione è un collaudato modello di gestione delle politiche del lavoro e delle relazioni sindacali. Subito dopo l’esplosione di tangentopoli Ciampi, allora Presidente del Consiglio, realizzò la concertazione triangolare con le associazioni degli imprenditori e quelle dei lavoratori. Il sindacato stesso ha condotto con successo battaglie sulla politica dei redditi, su quella fiscale e su quella industriale.
Certo, nel confronto possono esserci anche gli scioperi. E lo sciopero il sindacato non lo proclama per fare un dispetto al governo ma per sostenere proposte organiche. È un diritto sancito dalla Costituzione. In questo senso lo sciopero del 9 dicembre va interpretato come un invito a ragionare. Insomma, il pubblico impiego è chiamato a una rivoluzione perché i processi produttivi saranno sempre più digitalizzati, perché ci sono vuoti di organico, perché i concorsi sono stati sospesi, perché ci sono ancora dei contratti da firmare e perché dinanzi all’emergenza sanitaria i lavoratori della scuola e della sanità hanno dovuto inventarsi da soli le soluzioni. Si vogliono affrontare questi problemi senza ascoltare i sindacati? È una strada sbagliata e penso che gli statali abbiano pienamente ragione a chiedere un confronto vero col governo e a scioperare. Non lo dico per partito preso. Ritengo un gravissimo errore rinviare alle calende greche i contratti. La Pubblica Amministrazione è oggi il perno della essenziale vasta opera di assistenza alle imprese ed alle famiglie.
Invece di ignorare il ruolo delle organizzazioni sindacali allora, sarebbe importante andare oltre la retorica, oltre il disprezzo per il sociale, oltre la miope presunzione di amministrare il Paese con un rapporto diretto con i cittadini che in realtà sa di furbo paternalismo e tornare a dare fiducia al confronto, al rispetto degli interlocutori sociali, alle proposte che giungono dai corpi intermedi che sono, essi sì, nella realtà viva del Paese.


Qualche giorno fa si sono conclusi gli Stati generali dei 5 Stelle. Alcuni commentatori hanno sostenuto che la creatura di Beppe Grillo si è ormai trasformata in un partito, altri che si è trattato di un processo di crescita e che l’essenza movimentista dei pentastellati non cambia. Secondo lei chi ha ragione?  Nessuno, perché i 5 Stelle sono un soggetto difficile da definire. Diciamo che sono un grande stato d’animo composto da una miscela di rancore, frustrazione e ricerca del facile consenso. A proposito di quest’ultimo aspetto nel suo intervento agli Stati generali Roberto Fico ha detto che le strategie acchiappalike sono diffuse nel Movimento. Credo sia un’affermazione rivelatrice che conferma quanto quella che lei ha definito la creatura di Grillo sia un soggetto sfuggente. Sfuggente perché non si sa bene da dove viene e dov’è diretta. Insomma è un cocktail di soggettività che oggi ha un sapore e domani un altro. Il populismo è un’etichetta che molti gli attribuiscono. Ma quello che mi pare distingua i 5 Stelle dalla Lega come da altre espressioni del populismo è che è senza ideali, senza obiettivi, tantomeno quello della solidarietà sociale. Nascono come un aggregato di arrabbiati, come grandi accusatori della politica tout court e adesso che governano non sono più né l’uno né l’altro. E per questo motivo perdono consensi.  Piuttosto c’è da chiedersi come mai hanno avuto così tanto successo. A mio parere perché i partiti tradizionali si sono trasformati in universi chiusi, diretti da ceti autoreferenziali lontani dalla realtà quotidiana dei cittadini. In poche parole, è venuta meno la relazione tra partiti e società. Sono scomparse le sezioni, le scuole e i giornali di partito. Gli stessi politici non si formano più partendo dai gradini più bassi per fare carriera passo dopo passo. Ecco, i 5 Stelle hanno colmato l’immenso vuoto lasciato dalla crisi della politica. Sono figli della transizione ancora incompiuta tra la Prima e la Seconda Repubblica. Facendo leva sullo scontento di tanti cittadini hanno gestito la loro comunicazione politica con rabbia, rancore e approssimazione. Ha funzionato perché è un movimento che tiene conto degli umori della società e per questo motivo dice cose sia di destra che di sinistra. Ma non voglio essere distruttivo. Hanno saputo raccogliere la protesta. Non sono capaci di trasformarle in vere riforme. Non hanno capacità di governo. Rappresentano, però, una realtà che non va ignorata.  È prossima una manovra del governo che prevede uno scostamento di bilancio di circa 8 miliardi di euro. Il commissario europeo all’economia, Paolo Gentiloni, ha detto chiaramente che nel medio termine l’Italia dovrà ridurre il debito pubblico. Queste parole significano il ritorno dell’intransigenza europea sui nostri conti?    Guardi, ci troviamo in una situazione complessa perché il governo ha dovuto misurarsi con la seconda ondata della pandemia. Ondata che non era attesa e l’esecutivo ha iniziato a sparare i fuochi d’artificio sotto forma di decreti ristori. Siamo già al quarto. Tenga poi presente la legge di bilancio, da approvare entro il 31 dicembre, si basa anche su un anticipo da 20 miliardi del Recovery Fund. Come se non bastasse vorrei sottolineare un elemento che a me impensierisce parecchio. E cioè che questa legge di stabilità ha una sola lettura e non le consuete tre: una prima di presentazione in un ramo del Parlamento, successivamente il suo completamento nel secondo ramo, infine l’approvazione tra Natale e Capodanno. Adesso ci troviamo ad una estensione di una specie di monocameralismo alternato già in atto per i decreti legge. Quest’anno la legge di bilancio si discuterà in una sola Camera e l’altra si limiterà a votarla perché non ci sarà tempo per fare altro.  L’unione Europea è in forte imbarazzo. Siamo in ritardo. In ritardo perché non ci si è preparati alla seconda ondata del virus, in ritardo perché la legge di bilancio viene presentata alla fine di novembre, in ritardo perché non abbiamo ancora presentato a Bruxelles dei progetti operativi per utilizzare le risorse del Recovery Fund. Gentiloni, il commissario europeo per l’economia, sollecita il nostro paese a recuperare il tempo perduto. Non che sia un atteggiamento minaccioso o punitivo, vedo piuttosto una Europa preoccupata e delusa nei nostri confronti. Siamo un paese con un debito pubblico pauroso che aumenta vertiginosamente, siamo il paese che ha ricevuto la maggior quota di risorse dal Recovery Fund e ci troviamo in ritardo su tutto. Ce ne è abbastanza per dire al governo di darsi una mossa.   L’ultimo incontro tra governo e sindacati è stato molto teso ed è finito con la proclamazione di uno sciopero nazionale del pubblico impiego per il prossimo 9 dicembre. I buoni rapporti tra il premier Conte e le organizzazioni dei lavoratori volgono al termine?  Direi di no, anche se debbo registrare da parte del governo un po’ di insofferenza. In questo senso mi pare emblematica la puntualizzazione di Conte quando Bombardieri gli ha fatto notare che la legge di bilancio era già stata approvata dal Consiglio dei ministri senza un confronto con i sindacati. E dunque il loro incontro si riduceva a una pura informativa e di fatto non prevedeva discussione, cosa che le organizzazioni dei lavoratori avrebbero di gran lunga preferito. Il premier ha ribattuto sostenendo di non aver mai parlato di concertazione. Ora, la concertazione non è una cosa blasfema. Al contrario è utile all’esecutivo perché se ascolta le parti sociali evita la guerra per errore. Discutere con i corpi intermedi su come affrontare l’emergenza economica e su come impostare le modifiche strutturali non è affatto una bestemmia. Forse Conte non sa che la concertazione è un collaudato modello di gestione delle politiche del lavoro e delle relazioni sindacali. Subito dopo l’esplosione di tangentopoli Ciampi, allora Presidente del Consiglio, realizzò la concertazione triangolare con le associazioni degli imprenditori e quelle dei lavoratori. Il sindacato stesso ha condotto con successo battaglie sulla politica dei redditi, su quella fiscale e su quella industriale.  Certo, nel confronto possono esserci anche gli scioperi. E lo sciopero il sindacato non lo proclama per fare un dispetto al governo ma per sostenere proposte organiche. È un diritto sancito dalla Costituzione. In questo senso lo sciopero del 9 dicembre va interpretato come un invito a ragionare. Insomma, il pubblico impiego è chiamato a una rivoluzione perché i processi produttivi saranno sempre più digitalizzati, perché ci sono vuoti di organico, perché i concorsi sono stati sospesi, perché ci sono ancora dei contratti da firmare e perché dinanzi all’emergenza sanitaria i lavoratori della scuola e della sanità hanno dovuto inventarsi da soli le soluzioni. Si vogliono affrontare questi problemi senza ascoltare i sindacati? È una strada sbagliata e penso che gli statali abbiano pienamente ragione a chiedere un confronto vero col governo e a scioperare. Non lo dico per partito preso. Ritengo un gravissimo errore rinviare alle calende greche i contratti. La Pubblica Amministrazione è oggi il perno della essenziale vasta opera di assistenza alle imprese ed alle famiglie. Invece di ignorare il ruolo delle organizzazioni sindacali allora, sarebbe importante andare oltre la retorica, oltre il disprezzo per il sociale, oltre la miope presunzione di amministrare il Paese con un rapporto diretto con i cittadini che in realtà sa di furbo paternalismo e tornare a dare fiducia al confronto, al rispetto degli interlocutori sociali, alle proposte che giungono dai corpi intermedi che sono, essi si, nella realtà viva del Paese.

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